Matteo Renzi abbandonerà, oltre a Palazzo Chigi, anche la guida del Partito democratico? L’ipotesi di un addio alla segreteria ha agitato ancor più del solito le acque del Pd, che appare sempre più spaccato. La riunione della Direzione Nazionale per analizzare la situazione politica, prevista per le 15 del 7 dicembre, rischia di trasformarsi in una resa di conti tra maggioranza renziana e la minoranza dem.

Massimo D'Alema al Comitato "Scelgo NO" durante l'attesa dei risultati del Referendum Costituzionale in via dei Cerchi a Roma, 5 dicembre 2016. ANSA/CLAUDIO PERI

Massimo D’Alema.ANSA/CLAUDIO PERI

Le minoranze non hanno tardato a farsi sentire. L’oscar della durezza nei confronti della segreteria va assegnato di diritto a Massimo D’Alema. L’ex premier ha ribadito con convinzione che il partito ha bisogno di trovare una nuova unità e che Renzi dovrebbe dimettersi assolutamente. D’Alema non ha neanche risparmiato una forte critica al compiacimento di Luca Lotti riguardo il 40% di voti favorevoli ottenuti al referendum, rimarcando la differenza tra voto politico e voto per il referendum. Pier Luigi Bersani, con un lungo post su Facebook, si è compiaciuto del fatto che la vittoria del No non sia attribuibile unicamente alla destra. Opinione condivisa con Roberto Speranza, con il quale, nel corso della campagna per il Sì del premier, aveva pubblicamente condannato la connotazione politica che Matteo Renzi aveva dato al referendum, personalizzandolo e trasformandolo in una sorta di legittimazione del proprio operato governativo.

Altra questione spinosa riguarda la data del prossimo Congresso del PD, a cui non è chiaro in quali panni Renzi arriverà. Il Presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia ha affermato la necessità di andare al Congresso già a gennaio 2016 con il premier dimissionario. Ma la data potrebbe slittare anche a primavera, o addirittura a novembre 2017, e l’ancora attuale premier potrebbe avere la possibilità di ottenere una nuova legittimazione dal proprio partito e ripresentarsi alle prossime elezioni con un supporto concreto, forte di quel 40% della popolazione che ha creduto nella riforma, e quindi in lui.