Il tradimento subito da parte del Pd nel 2014 è stato un duro colpo, tanto da spingerlo a lasciare la scena politica italiana. Non è allora così difficile capire perché all’idea di un rientro nel partito, anche in qualità di segretario,  Enrico Letta non sembri fare i salti di gioia. Lo stesso partito che sette anni fa lo aveva lasciato da solo di fronte alle ambizioni di grandezza di un giovane Matteo Renzi, ora gli chiede – qualcuno quasi in ginocchio, qualcun altro obtorto collo – di salvare il salvabile e prendere in mano la leadership del partito, in crisi dopo le dimissioni improvvise di Nicola Zingaretti. «Quarantotto ore»: è questo il tempo che Letta si è preso per decidere. Tornare a far politica o continuare la sua vita da docente universitario? Mentre l’ex presidente del Consiglio riflette, tra le fila del Pd la tensione cresce. La mente va subito a quell’ «Enrico stai sereno» pronunciato da Renzi nell’ormai lontano 2014 prima della “pugnalata” alla schiena. Di certo, più di qualcuno all’interno del partito ci starà pensando, forse con rimpianto.

L’attività politica – Enrico Letta, pisano, classe 1966, è ancora uno studente universitario quando muove i primi passi in politica. L’orientamento è fin da subito a sinistra e convintamente europeista, in contrapposizione (senza ostilità) a famoso zio Gianni, democristiani di ferro nelle Prima Repubblica e poi gran ciambellano di Silvio Berlusconi. Il suo battesimo politico è nella Democrazia Cristiana: tra il 1991 e il 1995 è presidente dei Giovani Democristiani Europei. Intanto, si laurea in Scienze Politiche all’Università di Pisa nel 1994 e consegue il dottorato in Diritto delle Comunità Europea alla Scuola Superiore Sant’Anna, sempre nella città toscana. Dopo diversi incarichi nel governo Ciampi, tra il ’93 e il ’94, nel 1997 diventa vicesegretario del Partito Popolare Italiano di Franco Marini, insieme a Dario Franceschini. Nel 1998, grazie alla nomina a ministro per le Politiche comunitarie sotto il primo governo D’Alema, diventa il più giovane ministro della storia della Repubblica, fino ad allora. Poi, nel 2002, il passaggio a La Margherita, di cui è responsabile nazionale per l’economia fino al 2004.

Il percorso nel Pd – L’ingresso nel Partito Democratico risale al 2007. Quell’anno, Letta si candida alle primarie per la segreteria del partito: è terzo dopo Walter Veltroni e Rosy Bindi. È lo stesso Veltroni, divenuto segretario, a nominarlo responsabile nazionale Lavoro nella Segreteria nazionale. Anno dopo anno, Letta continua la sua scalata tra i dem, conquistando la fiducia di molti: nel 2009 viene eletto vicesegretario nazionale del partito sotto la leadership di Pier Luigi Bersani. Nel 2013 la direzione nazionale lo candidata alla Camera dei deputati come capolista del partito per le Marche e la Campania, in vista delle politiche che si sarebbero tenute da lì a pochi mesi.

Presidente del Consiglio – Quando il 28 aprile 2013 si insediò il primo (e unico) governo Letta, la situazione politica e governativa italiana non era molto diversa da quella attuale: politica litigiosa e situazione economica difficile, appena “aggiustata” dall’esecutivo di larghe intese guidato da Mario Monti. Ad affidargli l’incarico è l’allora capo di Stato, Giorgio Napolitano, in seguito alla mancata nascita di un governo capitanato dall’effettivo leader della coalizione di centro-sinistra, Pier Luigi Bersani. A bloccare l’ascesa di quest’ultimo a Palazzo Chigi è l’opposizione irriducibile del Movimento Cinque Stelle, che fa mancare la fiducia al Senato. L’esperienza governativa ha però vita breve: dopo nemmeno un anno dalla sua nascita, il 14 febbraio 2014, Letta è costretto alle dimissioni. Ad accompagnarlo alla porta di uscita è il suo stesso partito, stregato dal fascino di Matteo Renzi, che nel frattempo si era guadagnato la fiducia del Congresso: la motivazione – o sarebbe più corretto dire “la scusa” – del Partito è «la necessità e l’urgenza di aprire una fase nuova, con un nuovo esecutivo».

L’impegno accademico – La ferita è sanguinosa, forse insanabile: nel 2015 l’ormai ex premier si dimette anche da deputato e non rinnova la tessera del Pd. Poco dopo si trasferisce a Parigi, dove insegna alla grande école Sciences Po Paris (Institut d’études politiques). Nello stesso anno fonda la Scuola di politiche intitolata a Beniamino Andreatta. In questi ultimi anni si è dedicato completamente all’attività accademica, pur continuando ad esprimersi sulle vicende italiane. Dopo qualche tempo, si riavvicina al Pd: nel 2019, in seguito alla vittoria di Zingaretti alle primarie, torna ad essere un tesserato del partito.