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E’ stata presidente dell’Assemblea costituente regionale del PD in Calabria, poi deputato nella XVI legislatura e infine è stata eletta senatrice della Repubblica alle elezioni del 2013, sempre con il Partito Democratico. Una storia politica, la sua, da sempre ispirata al sogno unitario della sinistra che portò nel 2008 alla nascita dell’attuale partito di governo. Una storia che ora si interrompe bruscamente. Doris Lo Moro ha scelto infatti di seguire Bersani e Speranza sulla via della scissione e potrebbe diventare il capogruppo a Palazzo Madama della nuova formazione parlamentare.

Senatrice, lei fa parte del PD sin dalla sua fondazione. Come sta vivendo questo momento di rottura?
Quella di separarmi dal partito è stata una decisione molto difficile da prendere, non lo nego, ma sto cercando di lasciarmi alle spalle i dubbi e le sofferenze. Vivo con entusiasmo e coraggio l’inizio di questa nuova storia.

Se è davvero così, perché ha scelto di non dire la sua all’Assemblea nazionale di domenica 21 febbraio?
Abbiamo concordato tutti insieme che per la minoranza avrebbe parlato Guglielmo Epifani. Poi, dopo il discorso di Renzi, è stato subito chiaro come sarebbe andata l’Assemblea e ci siamo comportati di conseguenza. La verità è che ci hanno sbattuto la porta in faccia. Io credo che la scissione rientrasse nei progetti iniziali del segretario. Non ha fatto nulla per venirci incontro.

In una parola, qual era la vostra richiesta? Non credo si sia trattato di un problema di date.
Un luogo di discussione politica prima del Congresso. Niente di più. Il Partito Democratico ha perso da tempo la sua identità politica. Quello che è mancato è stato un progetto comune forte, di rilancio del Paese. Negli ultimi tempi c’è stata una degenerazione progressiva che doveva essere fermata. Si è arrivati alla scissione soprattutto per colpa del leader, che ha scelto di guidare il Partito da solo. La responsabilità maggiore è la sua.

Cosa mancava nel progetto dell’ex premier? Crede che sia stato dato poco spazio al Mezzogiorno, dal quale lei proviene?
Sicuramente il Sud deve essere più centrale, con i suoi problemi economici, di sviluppo e di criminalità organizzata. Gli ultimi anni non sono stati certo facili per colpa della crisi, ma credo che qualunque governo debba porre i problemi del Mezzogiorno fra le proprie priorità. Senza il Sud non si va da nessuna parte.

Per questo avete cercato di costruire un asse con Michele Emiliano? Come commenta la sua scelta di rimanere nel PD e sfidare Renzi al Congresso?
Semplicemente non la commento. La scelta di Emiliano riguarda soltanto lui. Eravamo tutti insieme, uniti nella scissione, ma poi ha cambiato idea. Non ne parlo perché fa comodo soltanto a lui avere questa centralità nel dibattito pubblico.

Voterete la fiducia al governo Gentiloni?
Sosterremo sicuramente il governo, perché è necessario che risolva le criticità del Paese e corregga la rotta attuale. Faremo le nostre richieste, certo, ma con lealtà e responsabilità.

Un’ultima domanda sul nuovo gruppo parlamentare. Si parla di 14 senatori certi e di lei come futuro capogruppo. Può confermarlo?
I numeri sufficienti per una nuova formazione parlamentare ci sono. A Palazzo Madama ne conosco personalmente almeno 13 che ne faranno parte. Per quanto riguarda la nomina a capogruppo, non le nego che se ne sta parlando. Ancora non c’è stata una decisione definitiva, ma i tempi sono stretti e a breve si terrà una conferenza stampa. In quella sede si saprà tutto, compreso il nome del gruppo.