Il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, Roma, 16 novembre 2021. Ansa/Riccardo Antimiani

«Se il MoVimento 5 Stelle avesse scelto la televisione per affermarsi, oggi sarebbe allo zero qualcosa per cento». Beppe Grillo lo scriveva sul suo blog nel maggio del 2012. Sono passati nove anni e nel frattempo la presenza grillina sugli schermi si è consolidata, anche in Rai. Fino a ieri, 17 novembre 2021, quando il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte ha annunciato che il movimento non parteciperà più ai programmi della tv pubblica. Conseguenza della scelta dell’ad Carlo Fuortes sulle nomine Rai: nessuna direzione assegnata ai candidati spalleggiati dai grillini, l’unica forza parlamentare a non essere rappresentata.

La furia di Conte – «Fuortes non libera la Rai dalla politica ma ha scelto di esautorare il M5S che rappresenta 11 milioni di elettori», ha dichiarato l’ex premier al termine del vertice di partito. Conte accusa di essere vittima di una lottizzazione che esclude i grillini, la stessa lottizzazione che il movimento delle origini individuò come uno dei male da sconfiggere nei palazzi. Niente riconferma al Tg1 per Giuseppe Carboni, in orbita M5S, sostituito da Monica Maggioni. Al Tg2 resta Gennaro Sangiuliano (Lega), mentre al Tg3 approda Simona Sala, che prende il posto di Mario Orfeo, vicino a Conte ma anche a Enrico Letta. Alla sinistra rimangono i Gr e Radio Uno con Andrea Vianello. E se anche FdI è soddisfatta della scelta di Paolo Petracca alla direzione di Rai News, il Movimento deve accontentarsi di Alessandra De Stefano a RaiSport. Ma l’Aventino televisivo di Conte non è una reazione solo alle decisioni di Fuortes ma anche una protesta contro Palazzo Chigi: «Ci chiediamo che ruolo abbia giocato il governo in tutto questo». Il timore dei pentastellati è che all’interno della maggioranza si stia lavorando a un nuovo assetto anche in vista dell’elezione al Quirinale.

Il ruolo di Palazzo Chigi – «Ho passato quasi 12 anni alla Rai. Non è mai successo che un direttore del Tg1 non sia stato benedetto da Palazzo Chigi e non è successo neanche l’ultima volta prima di questa, quando a Palazzo Chigi c’era Conte – ha commentato Enrico Mentana, direttore di Tg La7 – Si può capire la frustrazione, ma il sistema è sempre stato questo e chi è stato al governo per tre anni aveva tempo e modo per cambiarlo». Un processo di riforma che non è mai stato avviato dal M5S né durante il governo giallo-verde né quello giallo-rosso. «Diamo il via libera a una rivoluzione culturale in Rai. Ci liberiamo dei raccomandati e dei parassiti», annunciava nel 2018 l’allora vicepremier Luigi Di Maio dopo la nomina del nuovo ad Fabrizio Salini e del consigliere di amministrazione Marcello Foa. Lo stesso Conte dichiarava: «È il rilancio della principale industria culturale del Paese». Oggi, dopo più di tre anni di governo, la stessa rivoluzione del sistema viene chiesta a gran voce anche dal Presidente della Camera Roberto Fico: «Dobbiamo affrontare una legge sulla governance, sul rapporto fra Parlamento, governo e Rai. Serve una cultura dell’indipendenza molto più alta, dobbiamo definire una nuova missione per la Rai». Nel 2013 Fico era deputato e presidente della commissione vigilanza Rai. Organizzò con Grillo un sit-in di fronte ai cancelli della sede di Viale Mazzini al grido di «fuori i partiti e le lobby dalla Rai». Otto anni fa.

Il cofondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo durante un comizio. (ANSA)

I grillini in tv – E pensare che nel 2013 i pentastellati erano diventati il primo partito senza quasi mai apparire in tv. Il senatore Marino Mastrangeli venne espulso dal movimento per aver partecipato troppo spesso a trasmissioni televisive, in particolare per la sua presenza da Barbara d’Urso. Prima delle europee del 2014, fu proprio Grillo il primo a rompere questo “tabù” con le interviste da Mentana e da Bruno Vespa, che venne definito dal comico come «il conduttore di talk più fazioso». Dopo la delusioni alle votazioni dello stesso anno, Grillo rivide  i suoi dogmi. La presenza dei grillini in televisione aumentò, pur senza partecipare a talk show dove fossero presenti esponenti di altri partiti. Luigi di Maio, Alessandro di Battista, Barbara Lezzi e Alfonso Bonafede diventarono i leader televisivi del movimento.

Rai “fascista” – Ma è tra Grillo e la Rai che lo scontro si è sempre fatto caldo: nel 2016 il servizio pubblico venne definito «fascista» dal cofondatore dei 5S per il «silenzio assordante da parte dell’informazione Rai sui numerosi casi di realtà amministrate da Pd e Forza Italia toccate da indagini». Si parlò per giorni nel 2019 del costo dello spettacolo C’è Grillo, andato in onda su Rai2. Viale Mazzini sborsò circa 40mila euro per i diritti da corrispondere alla “Marangoni spettacolo”, la società che cura gli interessi del comico. «Non mi pare ci sia stato questo gran danno industriale… costa quanto un caffè di Fazio», aveva commentato Carlo Freccero, allora direttore di Rai2, oggi figura di spicco del movimento no vax e no green pass. Ma lo spettacolo del leader 5S suscitò un’ulteriore polemica: il movimento era la componente di maggioranza del governo giallo-verde. «Non è la Rai, è una specie di Istituto Luce», ironizzò l’attuale capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci.