Un nuovo capitolo nella vicenda marò: a indagare sui militari sarà la polizia antiterrorismo (Nia) o quella criminale (Cbi)? Un dilemma non da poco: se toccherà alla Nia (che il 5 aprile ha registrato una denuncia preliminare contro gli imputati) portare avanti le indagini, si profilerebbe l’eventualità della pena di morte a carico di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati dell’omicidio di due pescatori indiani. Una prospettiva che preoccupa fortemente il nostro governo, nonostante le rassicurazioni ricevute nei giorni scorsi dal governo indiano.

La decisione verrà presa lunedì 22 aprile, come annunciato nella mattina del 16 aprile dal presidente della Corte suprema di New Dehli Altamas Kabir. La posizione del governo italiano è chiara ed è stata ribadita in aula dall’avvocato dei marò Mukul Rohatgi: “L’utilizzazione della polizia antiterrorismo  è in violazione della sentenza della Corte Suprema del 18 gennaio (l’incidente era avvenuto in acque internazionali, ragion per cui era stata decisa l’istituzione di un tribunale speciale). Dovrebbe essere la polizia criminale Cbi a occuparsi delle indagini”. Rohatgi ha depositato una memoria dove afferma che le nuove indagini sull’incidente devono svolgersi sulla base del Codice penale e di procedura penale indiani, della Legge marittima e della Convenzione dell’Onu sulla navigazione marittima (Unclos). Invece, la Nia si è avvalsa della “Sua Act” (la legge per la repressione degli atti illeciti nella sicurezza marittima), secondo cui i responsabili devono essere per forza condannati a morte.

Il procuratore della repubblica indiana, Goolam E. Vahanvati, ha così difeso la strategia della Nia: “Una mossa giustificata dalla necessità di un’inchiesta rapida”, mentre la Cbi non potrebbe indagare perché “sovraccarica di lavoro”. Ha poi annunciato che entro 60 giorni le indagini verranno completate.

Francesco Paolo Giordano