In piena emergenza migratoria, l’Europa ha necessità di una Libia unita e meno porosa. L’interesse per un governo di unità nazionale è fondamentale per arrestare l’emorragia di profughi che arrivano dall’Africa. Le istituzioni europee si sono dimostrate poco capaci di reggere la massa di uomini e donne in fuga dalle guerre ed è per questo che la “Fortezza d’Europa” scricchiola. La fuga del primo ministro di Tripoli Khalifa al Ghwell e la rinuncia a ogni pretesa di potere nel Paese ha aperto scenari nuovi. Ad approfittarne il leader designato Fayez al Sarraj, protetto dal cappello della comunità internazionale e, anche dall’altro governo libico, quello di Tobruk, che però non nasconde le sue riserve. L’ipotesi di una missione militare per aiutare la transizione democratica con a capo l’Italia mette in luce gli interessi di Roma nella regione. Non solo economici, ma anche politici. L’Europa ha bisogno di un filtro alla migrazione. Le rotte africane partono tutte o quasi dal Sahel, la fascia sotto il Sahara. I motivi per raggiungere il vecchio continente sono la guerra, le persecuzioni politiche e razziali, la violenza di genere e le motivazioni economiche. Sono 4 le rotte che collegano il centro dell’Africa all’Europa e soprattutto all’Italia: tre di queste sboccano nei mari libici.
L’emergenza migranti nel 2016 non si è arrestata. Le misure dei vari Paesi europei non sembrano aver sortito gli effetti sperati. Molto discusso il patto che l’Ue ha stipulato con la Turchia per trattenere sul proprio territorio i migranti che arrivano dalla Siria o dall’Iraq. Un progetto che prevede il pagamento di circa 6 miliardi di euro da parte di Bruxelles per il sostegno ad Ankara. Nel 2015 è tornata a essere battuta la rotta balcanica, un tempo via migratoria di chi fuggiva dalle guerre della ex Jugoslavia. Oltre al mare, molti migranti hanno tentato di entrare in Europa attraverso la Croazia, l’Ungheria e la Bulgaria. Il campo profughi di Idomeni in Grecia, al confine con la Macedonia, poi, è diventato l’emblema di questo stallo politico e umanitario.
La via prediletta è rimasto comunque il mare. Più di un milione secondo le cifre fornite dall’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) hanno fatto uso delle cosìddette “carrette del mare” contro i 40 mila via terra. La maggior parte di queste persone proviene dalla Siria (più di 350 mila), dall’Afghanistan (circa 170 mila) e dall’Iraq (più di 100 mila). Secondo i dati di Eurostat nel Vecchio continente sono arrivate più di un milione di richieste d’asilo. Soprattutto in Germania (476 mila) e in Ungheria (177 mila) alla fine di dicembre 2015. Se si guarda invece il rapporto richiedenti asilo pro capite, in testa alla classifica sale proprio l’Ungheria con 1.800 profughi su 100 mila abitanti. Secondo posto per la Svezia (1.600 su 100 mila) e l’Austria (1.207 su 100 mila). L’Italia è ferma al 17esimo posto con 138.
Kos, Lesbo e Samo sono le isole greche più interessate dal fenomeno degli sbarchi. Lo loro posizione a pochi chilometri dalle coste turche non costringe a lunghi viaggi in mare. Il problema è arrivarci al mare.
È difficile tenere il conto dei morti che sempre più spesso vengono ripescati in mare. Il mese più tragico è stato aprile 2015 con più di 1.200 tra ritrovamenti in mare e scomparsi. Nello stesso mese 2014 ci si era fermati a circa 800. Nel 2015 le istituzioni europee hanno dibattuto molto sulla questione “quote” e sul ridislocamento dei migranti arrivati in Italia e in Grecia. Il piano, in buona parte, è fallito. Molti Paesi non hanno accettato il piano europeo per allentare la tensione sulle coste mediterranee. Alessio Chiodi Lara Martino