L’operazione Albania è ferma. I quattordici migranti rimasti nel centro italiano Gjader hanno tutti fatto ritorno nella penisola. Il Tribunale di Roma ha infatti ratificato il loro ritorno e trattenimento su suolo italiano sulla base del diritto comunitario, che afferma che non si possano rimpatriare migranti provenienti da Paesi non sicuri. Appena inaugurato, il progetto tanto voluto dalla primo ministro Giorgia Meloni ha già avuto una battuta d’arresto. Nel pomeriggio di lunedì 21 ottobre, in una riunione del Consiglio dei Ministri, verrà discusso un nuovo decreto legge per aggirare il nodo giudiziario rendendo norma primaria l’indicazione dei Paesi sicuri e continuare il trasferimento.

Il piano del governo. Il Consiglio dei Ministri ha un obiettivo ben chiaro: rendere più facili e veloci i rimpatri. La strategia è quella di trasformare la normativa sull’indicazione dei paesi sicuri da secondaria a primaria: da decreto interministeriale a decreto legge. In questo modo il governo otterrebbe il compito di indicare le condizioni che rendono un paese sicuro, di fatto arginando il potere giudiziario. L’obiettivo è quello di avere un fonte normativa non subordinata alla normativa dell’Unione europea. L’esecutivo sta valutando anche un altro punto da inserire nel decreto, ovvero l’introduzione dei ricorsi in Corte d’Appello contro le decisioni dei tribunali sul trasferimento dei migranti nei centri per il rimpatrio. Questo fornirebbe uno strumento in più per bloccare le ordinanze che non approvano i trasferimenti, o per lo meno guadagnare tempo appellandosi ad una seconda valutazione.

Il problema costituzionale. Si presenterà probabilmente un grande nodo da sbrogliare. Il decreto non può aggirare la legislazione europea né tantomeno quella internazionale. Le opposizioni attaccano: per approvare il decreto sarà necessario passare sopra alla Costituzione, che con l’articolo 11 sancisce la supremazia del diritto europeo a quello nazionale. Il risvolto di questa operazione è quindi europeo e non riguarda solo i rapporti tra magistratura ed esecutivo. In attesa delle 18 il clima si fa sempre più teso e Mattarella invita al dialogo.