Meno tasse per chi fa figli. Sembra questa la strada che il governo vuole imboccare per contrastare il problema della natalità. A riportarlo è Il Foglio secondo cui il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti vorrebbe, entro l’anno, un bonus famiglie sul modello del 110%. In sostanza: per chi allarga la famiglia o decide di avere figli, indipendentemente dalle fasce di reddito, ci saranno sgravi fiscali. L’idea vuole essere una risposta al costante crollo della natalità. Secondo gli ultimi dati Istat, il 2022 segna il record assoluto in negativo delle nascite in Italia, che sono state 392.600, meno 1,9% rispetto al 2021.
I dati – Il calo demografico non è una novità. Nel 2008, anno della “grande recessione”, i bambini nati erano 576.659. Da lì la discesa è stata costante. Nel 2014 erano 74mila in meno e nel 2018, dieci anni dopo, 439.747 cioè un calo complessivo di circa il 24%. La curva attuale rimane in giù e segna, come ultimo dato Istat del 2022, 392.600 nati. La diminuzione ha un impatto notevole anche sul piano economico e del lavoro. Se le nascite non aumenteranno progressivamente, tra vent’anni non ci saranno nuovi lavoratori e, di conseguenza, niente nuovi contributi per il sistema previdenziale italiano. Risultato? Possibile crollo del sistema pensionistico. A fornire questo quadro è proprio l’Inps con il suo ultimo rapporto annuale: 23 milioni di lavoratori e 16,5 milioni di pensionati.
La proposta – Cominciando a lavorare sul problema natalità, prima di spostarsi su pensioni e contributi, il governa pensa a sgravi fiscali. Lo slogan politico è “niente tasse per chi allarga la famiglia”, ma bisogna vedere a livello concreto come sarà attuato e se sarà possibile realizzarlo. La proposta è arrivata sul tavolo di Giorgetti il 19 aprile. I due leghisti Massimo Bitonci (sottosegretario al Made in Italy) e Massimo Garavaglia (presidente Commissione Bilancio e Finanze del Senato), vorrebbero reintrodurre nel sistema fiscale la deduzione dei figli a carico, sostituita nel 2022 dall’assegno unico. In passato, con la deduzione venivano scontati dalle tasse 1.220 euro per i minori di tre anni e 950 euro per gli altri (in maniera decrescente in base al reddito). L’assegno unico attuale, invece, è un contributo che viene riconosciuto per i figli fino al 21esimo anno di età: si parte da un minimo di 50€ per figlio (se si ha un ISEE maggiore di 40.000 euro) fino a un massimo di 175€ per figlio (se si ha un ISEE inferiore a 15mila euro). La proposta di Bitonci e Garavaglia vorrebbe tornare a una deduzione del reddito imponibile, molto più alta rispetto a quella pre-assegno unico. 10mila euro per ogni figlio, indipendentemente dalla fascia di reddito. Per chiarire, se una persona ha un reddito di 50mila euro all’anno e ha un figlio, pagherebbe le tasse non su 50mila, ma su 40 mila euro e così via. Questa deduzione inoltre, se sommata alle altre già presenti (mutui e ristrutturazioni), potrebbe addirittura azzerare le tasse per i redditi fino a 35mila euro. Si favorirebbero così i redditi medio-bassi, ma non quelli più bassi. Questi ultimi non potrebbero usufruirne perché versano già attualmente zero di Irpef allo Stato. Per questa fascia è più conveniente l’assegno unico che è studiato sulla base della proporzionalità e che è un contributo che arriva direttamente nelle tasche dei genitori.
Le coperture – Resta da capire come il governo potrebbe trovare le coperture per una riforma così ampia. È necessario definire, intanto, se lo sconto sarà applicato a entrambi i genitori (magari al 50%) o solo a uno dei due. Senza considerare questo aspetto, se la misura volesse considerare i soli nuovi nati, approssimando a 400mila le nascite sulla base dei dati del 2022, la spesa annuale per il governo sarebbe di 4 miliardi. Se, invece, si volessero ricomprendere tutti i minorenni (9 milioni in Italia) o addirittura quelli fino a 21 anni, il discorso sarebbe molto più complesso. Nel primo caso la manovra costerebbe oltre 90 miliardi. Il Def quest’anno, comunque, ha solo 3,4 miliardi per abbattere il cuneo fiscale e, quindi, sembrerebbe non poter coprire nessuna delle due misure.
Il modello francese – La Francia è il Paese che fa più figli di tutta Europa. Oltre 740mila i nati nel 2021. Il dato è in calo rispetto al 2014, ma rimane comunque superiore alla media europea. L’esempio francese potrebbe servire come modello per un’eventuale riforma strutturata. È proprio con le misure di sostegno che la Francia ha raggiunto e mantenuto questo primato. A dare un grande spinta in particolare la riforma Raffarin del 2004. In quell’anno erano stati introdotti un premio alla nascita e un premio all’adozione pagati al settimo mese di gravidanza a tutte le donne residenti: 1003,97 euro netti dal 1° aprile 2022 e 2007,95 euro per l’adozione. Era stata inserita, inoltre, una prestazione condivisa per l’istruzione del bambino: i genitori che riducono o rinunciano al lavoro ricevono fino a 422,21 euro al mese in caso di cessazione totale. In alternativa era stato introdotto anche un aiuto per le spese di baby sitting o di asilo che, per alcune categorie e fasce di reddito, può raggiungere i 498,33 euro il primo mese, con cali successivi e progressivi. Queste misure sono ancora presenti, ma diverse sono state ridimensionate nel 2017, anno in cui c’era stato un piccolo calo della fecondità.
Gli aiuti in Italia – Oltre all’assegno unico, in Italia a livello di misure di sostegno è presente il bonus asilo. Introdotto nel 2017, prevede uno sconto per chi ha figli fino a 3 anni di età per pagare le spese dell’asilo o di un eventuale baby sitter. L’importo, con varie eccezioni in base ai singoli casi, varia da un massimo di 270 euro al mese (per gli ISEE fino a 25mila euro) a un minimo di 137 euro al mese per gli ISEE superiori a 40mila euro.