Milano: 10. Venezia: 12. Cuneo: 5. Verona: 9. Non sono i risultati delle ultime estrazioni del Lotto, ma quelli registrati dal Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni amministrative in alcuni tra i principali centri del Nord Italia. Fatto salvo il caso di Torino – conquistata trionfalmente un anno e mezzo fa da Chiara Appendino – i grilini hanno un problema tutto politico da risolvere entro le prossime elezioni: con queste percentuali, considerato il peso anche demografico delle regioni del Nord, sbancare davvero le urne la prossima primavera potrebbe diventare un’impresa. Eccola dunque la battaglia d’inverno di Di Maio & co.: archiviata la sconfitta di misura in Sicilia, il prossimo obiettivo è chiaro: andare a caccia dei voti perduti (o meglio, mai arrivati) delle “regioni produttive”, a costo di sfilarli uno a uno a Lega e Forza Italia.

Il candidato premier M5S Luigi Di Maio (s) con quello alle regionali lombarde Dario Violi (Foto Ansa/Flavio Lo Scalzo)
La madre di tutte le battaglie
La “questione settentrionale”, ai piani alti di un Movimento ispirato da un comico genovese e guidato dagli uffici di una società milanese, è ben chiara da tempo. Se si mette da parte l’exploit di Torino del 2016, il bilancio dei 5 Stelle al Nord è fin qui magro: appena otto Comuni amministrati, nessuno dei quali di grande importanza, e un senso di marginalità politica evidente soprattutto in Lombardia e Veneto, là dove le leve elettorali di Lega e Forza Italia sono tornate ad essere prodigiose – astensionismo a parte – proprio in un momento in cui il centrodestra pare risorgere come avversario numero 1 da battere alle prossime politiche. Già prima dell’estate, dopo i ballottaggi di giugno che avevano sancito il ritorno in campo dell’asse forzaleghista, alla Casaleggio era suonato l’allarme: con leader di spicco barricaderi e tutti meridionali (Di Maio, Fico, Di Battista), l’asse del Movimento, per lo meno nella percezione degli elettori del Nord, è troppo spostato al Sud. E se sino agli inizi di novembre la questione è stata messa tra parentesi per concentrare tutte le energie sulla campagna in Sicilia, oltre che sulla prevista incoronazione del vicepresidente della Camera, ora la battaglia è tornata pienamente al centro dell’agenda, con una strategia sempre più delineata.
Milano caput mundi
Da qualche giorno, per cominciare, il candidato premier ha trasferito armi e bagagli a Milano: Di Maio non resterà sempre nel capoluogo lombardo, certo, ma sembra averne fatto il nuovo centro nevralgico delle sue operazioni. Quasi un tassello mancante naturale nella strategia di accreditamento dell’aspirante premier ai tavoli che contano: dopo aver fatto visita al Dipartimento di Stato di Washington per rassicurare gli alleati americani, aver scritto ad Emmanuel Macron per gettare un (complicato) amo al nuovo leader de facto d’Europa, il giovane leader non poteva non puntare a sedurre cittadini, enti e imprese della capitale economica del Paese.
In Lombardia, Di Maio deve sostenere la campagna per un altro importante appuntamento elettorale, quello delle regionali della prossima primavera: sabato infatti ha lanciato la corsa di Dario Violi, indicato come candidato dalla Rete grilina con 793 voti. Ma l’impegno del leader a Milano sembra orientato soprattutto su un altro fronte: quello degli incontri con associazioni e personaggi che contano nelle decisioni politiche ed economiche. Una sfida a dubbi e perplessità diffuse che si ricollega idealmente e non solo alla convention tenuta la scorsa primavera a Ivrea, cuore industriale dell’antica Olivetti, in memoria del co-fondatore Roberto Casaleggio. “So bene che in molti casi ci avvicineremo a persone che hanno una posizione critica nei nostri confronti: voglio parlare soprattutto con loro e confrontarmi”, ha messo le mani avanti Di Maio, anche per fugare sospetti e diffidenze nella base dello stesso Movimento. Al netto delle dichiarazioni, l’agenda del candidato premier è fitta: nei giorni scorsi, ha raccontato il Corriere della Sera, ha incontrato gli esponenti di Confesercenti e Confprofessioni, e ieri quelli di Confcommercio. Oltre alle grandi federazioni di lavoratori autonomi, per le prossime settimane si vocifera di contatti anche in ambienti economico-finanziari. Riecheggiando le parole d’ordine berlusconiane di ieri e di oggi, in fondo, è stato lo stesso Di Maio ad accennare alla promessa della “rivoluzione liberale” mai realizzata dal centrodestra e ora rivendicata dal Movimento.
Oltre ai vertici di aziende e associazioni, resta da conquistare naturalmente il voto di milioni di elettori: per provarci Di Maio, affiancato da Violi e dal consigliere regionale Stefano Buffagni, si muoverà sul territorio quotidianamente. Nel capoluogo sono già in agenda incontri con i City Angels o all’asilo Mariuccia, ma si prevedono anche spostamenti in altre zone: dalla Mantova del sindaco Pd Palazzi sotto inchiesta alle regioni agricole tra Lombardia ed Emilia.
Strategie di seduzione
Resta il nodo dei temi e degli argomenti da poter usare per strappare elettori diffidenti a Lega e Forza Italia, ma anche al Pd e al grande partito dell’astensionismo. Per farlo i 5 Stelle puntano certo sulle armi tradizionali del sentimento “anti-casta” di regioni ricche ma funestate in questi anni dalla crisi. Da settimane nelle interviste e nelle apparizioni pubbliche Di Maio insiste scientificamente, non a caso, sul tasto del sostegno alle imprese che producono, oltre che su quello del fallimento dell’attuale classe dirigente. Ma per conquistare almeno in parte Piemonte, Lombardia e Veneto si punterà anche ad argomenti ad hoc, capaci di parlare agli elettori settentrionali. Per preparare il terreno, nei mesi scorsi i grillini hanno appoggiato, silenziosamente ma convintamente, i referendum autonomisti delle due regioni del Nord: un modo per non lasciare la vittoria soltanto a Salvini, Zaia e Maroni. E su onde simili Di Maio prepara una campagna fortemente ancorata anche al tema dei migranti, su una linea non molto distante da quella leghista: sicurezza al primo posto, accoglienza di stranieri ridotta al minimo indispensabile, battaglia (almeno sulla carta) per cambiare l’accordo di Dublino. Oltre che molte altre regole europee. Che la strategia ancora in parte in costruzione possa funzionare, è tutto da verificare. Ma la linea del fronte è tracciata.