È un Partito Democratico confuso quello uscito dalla convenzione nazionale del 3 febbraio, il terzo atto della corsa alle primarie che si svolgeranno il 3 marzo. Le acque del partito si sono intorbidite nuovamente di fronte all’iniziativa politica di Carlo Calenda. L’ufficializzazione dei tre candidati alla segreteria del Pd è stata infatti oscurata dalle polemiche sull’eredità di Matteo Renzi e sulla presentazione di un documento degli eurodeputati dem, che non avrebbe tenuto in considerazione il manifesto presentato dall’ex ministro dello Sviluppo Economico, “Siamo Europei”.

La convenzione Pd  L’evento di partito doveva essere una semplice formalità. Maurizio Martina, segretario uscente, Nicola Zingaretti, governatore del Lazio, e Roberto Giachetti, prendendo atto del voto dei circoli – Zingaretti al 47,4% delle preferenze, in vantaggio su Martina al 36,1% – , dovevano ufficializzare la propria candidatura alla segreteria del partito, in vista delle primarie del 3 marzo. La convenzione è stata però turbata dall’arrivo di Carlo Calenda, che nel suo intervento ha tracciato la linea di rottura con il passato di governo: «Anche io ho litigato con Renzi, poi sono stato con Renzi, l’ho fatto anch’io questo casino», ha dichiarato. Un passaggio che ha messo ancora più in luce il conflitto all’interno del Partito Democratico. Se i renziani sono formalmente schierati con Martina, dei fedelissimi dell’ex premier non c’è traccia: Lorenzo Guerini, Luca Lotti, Andrea Marcucci e Maria Elena Boschi, l’invito è stato declinato da tutti maggiori leader della corrente renziana. E a peggiorare il clima interno al partito è arrivato il commento dello stesso Calenda al documento redatto dagli europarlamentari sulla linea da seguire in vista delle elezioni europee.

Il documento – Da mesi alcuni europarlamentari dem stanno lavorando a un testo che possa costituire la piattaforma politica del Pd in vista delle elezioni europee. Tra i promotori, Patrizia Toia, capogruppo a Strasburgo, e Goffredo Bettini. Un documento più volte rimaneggiato – la coordinatrice parla addirittura di sette versioni diverse – che parte dalla necessità di dotare il partito di un «motore europeista sulla base di un programma avanzato», come la stessa Toia ha dichiarato in un’intervista a la Repubblica.
Tuttavia il documento non è stato recepito in questo modo da Carlo Calenda, ideatore di “Siamo Europei”. Il 18 gennaio l’ex ministro aveva lanciato il manifesto per una lista unica antisovranista, che dovrebbe allargare il fronte dem alla società civile e al mondo della politica locale di centro-sinistra in occasione delle Europee 2019. Questo documento degli europarlamentari è stato quindi percepito come un’alternativa al manifesto di Calenda, dal momento in cui nel testo non viene mai citata l’iniziativa “Siamo Europei”, e dunque un modo per scavalcare internamente l’iniziativa politica dell’ex ministro.

La polemica – Prima di partecipare alla convenzione del Partito Democratico, Calenda ha attaccato su Twitter la nuova versione del documento e in particolare Goffredo Bettini – esponente vicino alle posizioni di Nicola Zingaretti – , accusato di aver costruito un’operazione contro il suo manifesto “Siamo Europei”.

Hanno dovuto pensarci i tre candidati alla segreteria a stemperare la tensione durante l’evento del Pd, offrendo tutti sostegno alla proposta politica di Calenda. Anche se Zingaretti, durante il suo intervento, ha ammonito il collega di partito: «Se vuoi la pace, prepara la pace. Se vuoi l’unità, prepara l’unità». La replica dei diretti interessati è arrivata invece attraverso le parole di Patrizia Toia: «Io stessa ho aderito all’iniziativa di Calenda, ma il suo manifesto non è il Vangelo», ha dichiarato la capogruppo dem a Strasburgo, sottolineando che il documento e il manifesto non sono in contraddizione l’uno con l’altro. Nonostante i chiarimenti, la tensione all’interno del partito è evidente e la corsa all’elezione del nuovo segretario, così come quella alle elezioni di maggio, è segnata da un’unità interna ormai solo apparente.