Decreti di espulsione validi in tutta Europa con conseguente divieto di ingresso negli altri paesi Ue e centri per il rimpatrio in paesi extra-Ue. Questo il succo del nuovo regolamento europeo sui migranti, in approvazione martedì 11 marzo nella seduta plenaria mensile del Parlamento europeo. A illustrare il regolamento, che completa la normativa sulla migrazione e l’asilo entrata in vigore l’anno scorso introducendo soluzioni che in qualche modo richiamano i contestati accordi già presi dal governo italiano con l’Albania, sarà il commissario agli Affari interni e alla migrazione, Magnus Brunner. Per la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen l’obiettivo è «istituire un sistema comune proponendo regole semplici e chiare» con al centro «un ordine di rimpatrio europeo».
Cosa cambia – Il testo sostituirà la Direttiva rimpatri del 2008 e avrà la forma di regolamento. Ciò significa che sarà automaticamente esteso e reso esecutivo a tutti gli Stati dell’Unione, senza necessità per questi di recepirlo. In mancanza di un sistema condiviso, oggi una persona che riceve un decreto di rimpatrio può trasferirsi in un altro Paese. Von der Leyen ha spiegato invece che dopo l’entrata in vigore del regolamento «coloro che saranno rimpatriati riceveranno un decreto d’ingresso nell’Ue». Il testo include poi la creazione di centri per il rimpatrio (return hubs) in Paesi non membri dell’Unione europea.
I return hubs – Attualmente la normativa vieta di trasferire persone migranti in Stati con cui non hanno alcun legame senza la loro volontà. Il nuovo regolamento invece prevede anche la creazione di centri per il rimpatrio in paesi extra Ue, dei veri e propri Cpr (centri di permanenza per il rimpatrio) per persone che hanno ricevuto un ordine di espulsione. Per questo, per l’attuazione delle nuove regole sarà necessario aggiornare la lista dei “Paesi terzi sicuri”, cioè quelli in cui sarà possibile deportare chi si sarà visto rigettare la domanda d’asilo.
L’esempio italiiano – L’idea di creare dei centri extraeuropei per il trattenimento di immigrati irregolari sembra strizzare l’occhio ai centri in Albania voluti dal governo Meloni. Non è un caso, allora, che Brunner si sia detto favorevole all’esempio italiano. A febbraio in un’intervista all’agenzia ANSA aveva lodato l’iniziativa di Giorgia Meloni: «Penso che il governo italiano stia cercando di trovare nuovi modi per garantire che i rimpatri avvengano davvero ed è molto positivo».
La differenza tra i centri italiani e i return hubs è che gli hotspot di Shengjin e Gjader sono destinati ad accogliere migranti irregolari adulti in attesa dell’esamina delle proprio richieste d’asilo, mentre gli hub previsti dal regolamento europeo dovrebbero ospitare persone le cui richieste di asilo siano già state rigettate. Da mesi, però, Meloni valuta l’idea di trasformare i due hotspot albanesi in Cpr per immigrati con un decreto di espulsione, in modo da aggirare la convalida dei giudici per il trattenimento. Starà alla presidente del consiglio valutare se modificare il protocollo Roma – Tirana convertendo le due strutture in Cpr per gli irregolari già presenti in Italia, o attendere una mossa dell’Europa.
Diritto e diritti – Il tema sollevato dalle Ong è quello della presunta violazione dei diritti dei migranti durante i trasferimenti e dentro i return hubs. La preoccupazione più grande è collegata alle condizioni di detenzione nei Cpr, e al rischio che la permanenza nei centri si trasformi per i migranti in una detenzione definitiva in condizioni di privazione delle libertà personali.
Secondo l’Agenzia Ue per i diritti fondamentali, i centri per il rimpatrio sarebbero compatibili con il diritto Ue solo se accompagnati da «garanzie chiare e solide». Le riserve delle Ong sono state acquisite nella stesura del Patto migrazione e asilo: «Anche grazie alle loro intuizioni la nostra politica migratoria sarà equa ed efficace», aveva detto Brunner a fine gennaio. Dalla sua, Von der Leyen ha assicurato che si agirà «nel pieno rispetto del diritto internazionale e dei diritti fondamentali».