Ministro degli Affari Ue Raffaele Fitto (Fonte: Flickr)

“Rischio concreto” per la quarta rata del Pnrr. Questo è quanto si legge nella delibera della Corte dei Conti, pubblicata il 3 maggio scorso. A preoccupare Palazzo Chigi, che di recente ha avocato a sé la governance del Piano, sono soprattutto i ritardi su asili nido e stazioni a idrogeno, che potrebbero far slittare l’arrivo dei 16 miliardi previsti da Bruxelles. Tutto questo in un momento in cui la terza rata, che sembrava in dirittura d’arrivo, ancora non è giunta a destinazione. Il governo si ritrova così ad affrontare una nuova corsa contro il tempo. Entro il 30 giugno gli enti locali dovranno aggiudicare il 100% dei lavori ma sui dossier più caldi rimangono ancora incertezze, lasciando aperta l’ipotesi del rinvio. Ad esempio, secondo il Sole 24Ore l’assegnazione dei fondi per la costruzione di colonnine a idrogeno è ferma al 44% del totale (solo 101,9 milioni sui 230 milioni previsti sono stati allocati). Un fenomeno che gli stessi magistrati contabili hanno ritenuto pericoloso per il recepimento dei finanziamenti Ue, tanto da intimare l’individuazione dei dirigenti responsabili. Il ministro degli Affari Ue Raffaele Fitto non avrebbe apprezzato le dichiarazioni dei giudici, tanto da sottolineare come «l’accertamento del ‘mancato conseguimento della milestone europea’ compete esclusivamente alla Commissione europea».

In bilico anche il conferimento dei progetti sugli asili nido agli enti locali. «È un obiettivo che l’Italia non può mancare e al quale i Comuni non sono disposti a rinunciare», aveva dichiarato Fitto la settimana scorsa davanti alla Camera. La polemica era scoppiata in concomitanza con i ritardi legati alla terza tranche da 19 miliardi che riguardava i 55 obiettivi da raggiungere entro l’ultimo periodo del 2022. A causare il rallentamento il nodo stadi, le reti di teleriscaldamento e le concessioni portuali, che avevano convinto la Commissione Ue a posticipare il via libera, per completare la fase di verifica dei requisiti.

Nel frattempo, sempre sul fronte europeo, continua a rimanere caldo il dossier sul Mes (Meccanismo europeo di stabilità) dove manca solo il sì dell’Italia. Una fonte interna all’Eurogruppo, organo che riunisce i ministri dell’Economia dei Paesi che hanno adottato la moneta unica, ha rivelato che: «Ci si aspetta che il ministro italiano delle Finanze chiarisca quali siano i piani del governo». Il tema sarà discusso alla prossima riunione dell’Eurogruppo, prevista per lunedì 15 maggio.

Cronostoria – Luci e ombre di un processo che ha le sue radici nel 2021. ll 6 luglio di quell’anno il Consiglio europeo approvava il Piano nazionale di ripresa e resilienza proposto dal governo Draghi. L’Europa prometteva all’Italia 191,5 miliardi di euro, spalmati in dieci rate, da accompagnare al raggiungimento di obiettivi (milestone) e traguardi (target): 68,9 miliardi in contributi a fondo perduto, mentre 122,6 miliardi in prestiti a tasso agevolato. A questi si aggiungevano i 13 miliardi di REACT-EU, un ulteriore strumento per contrastare gli effetti della pandemia, e i 30,62 miliardi del Fondo complementare che finanziava altri interventi legati al PNRR. In totale la dote è di 235,12 miliardi di euro.
Dopo poco più di un mese, il 13 agosto, la Commissione Ue erogava all’Italia un prefinanziamento dal valore di 24,9 miliardi di euro, pari al 13% del totale. La somma era divisa in 8,95 miliardi a fondo perduto e 15,94 miliardi in prestiti. Le risorse non erano legate ad alcun investimento o a un obiettivo da raggiungere, ma erano vincolate all’approvazione del piano da parte del Consiglio. Il governo li ha spesi in progetti già in corso di realizzazione: per esempio, 1,7 miliardi hanno coperto investimenti sulla rete ferroviaria; 1,7 miliardi sono andati al fondo Simest per la crescita delle piccole e medie imprese; 1,6 miliardi hanno finanziato il programma Transizione 4.0.

Rate e obiettivi – Per ottenere invece la prima rata, dal valore di 24,9 miliardi, l’Italia doveva raggiungere 51 obiettivi entro la fine del 2021. Di questi, 27 prevedevano riforme e 24 nuovi investimenti. In particolare, la maggior parte degli obiettivi ha coinvolto la messa a terra della macchina operativa del Pnrr ma tra gli altri traguardi ci sono stati: la proroga del Superbonus, la riforma delle norme sugli alloggi universitari, la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Il 22 dicembre l’allora presidente del Consiglio Mario Draghi aveva annunciato nella conferenza stampa di fine anno il raggiungimento degli obiettivi. Tuttavia, la documentazione era stata inviata a Bruxelles solo il 30 dicembre. Dopo l’ok della Commissione del 28 febbraio 2022 e del Comitato economico e finanziario del 23 marzo, il 13 aprile l’Italia riceveva la prima rata del Pnrr, pari a 21 miliardi di euro: 10 in sovvenzioni e 11 in prestiti. La differenza rispetto alla somma prevista di 24,9 miliardi si spiega con la detrazione che la Commissione ha applicato: alla prima tranche andava sottratta la quota d’anticipo (13%) erogata con il prefinanziamento di agosto.

Le scadenze – La scadenza per la seconda rata era fissata al 30 giugno 2022: 45 erano le milestone e i target da completare, tra cui la riforma della carriera degli insegnanti e la delega al codice degli appalti pubblici. L’unico traguardo da conseguire era l’avvio delle procedure per le assunzioni nei tribunali amministrativi. Il 29 giugno il governo aveva inviato la richiesta di accesso ai 21 miliardi della tranche, 11 in prestito e 10 a fondo perduto. La risposta da Bruxelles era poi arrivata solo il 27 settembre, quando la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva riconosciuto l’impegno dell’esecutivo: «Ancora una volta buone notizie per l’Italia. La Commissione ritiene che l’Italia abbia compiuto progressi sufficienti nell’attuazione del suo piano Pnrr per ricevere un secondo pagamento da NextGenerationEU. Dopo il via libera degli Stati membri, l’Italia riceverà 21 miliardi di euro». La seconda tranche è stata poi erogata il 9 novembre di quell’anno.