Il premier Mario Draghi a Roma (Ansa – Fabio Frustaci)

Parola d’ordine: agire in fretta. Il Governo di Mario Draghi non perderà tempo nemmeno nella presentazione del programma alle Camere. Si comincerà dal Senato, mercoledì 17 alle 10,00. Il premier annuncerà le sue mosse a Palazzo Madama. Poi il testo verrà inviato per iscritto alla Camera dei Deputati subito dopo, per una votazione di fiducia tanto rapida quanto scontata.

C’è chi dice no – All’interno delle forze che sosterranno l’ex presidente della Bce non tutto va come dovrebbe, se si escludono PD, Lega e Forza Italia che voteranno compatte per il sì. A partire dal Movimento 5 Stelle, la forza con il più alto numero di rappresentanti in Parlamento. Se Alessandro Di Battista si era esposto subito dopo la consultazione su Rousseau, sostenendo che avrebbe fatto un passo di lato, altri parlamentari di peso hanno fatto sentire la propria contrarietà. Alla senatrice pentastellata Barbara Lezzi, che chiedeva di rivotare dopo la mancata fusione tra il ministero dello Sviluppo Economico e quello dell’Ambiente, ha fatto eco la deputata Angela Raffa con un post su Facebook. Altri, come Emanuele Dessì e Pino Cabras sono già pronti a votare “no”. Il numero dei contrari, comunque, non dovrebbe superare i 30 al Senato e i 40 alla Camera, non compromettendo la tenuta della maggioranza.

Ma le voci contrarie arrivano da tutti gli estremi dell’arco parlamentare. L’Assemblea nazionale di Sinistra Italiana (SI) si è compattata dietro il “no” alla fiducia. Per il leader Fratoianni “C’è troppa destra al potere”. Ma la scelta appare più politica che pratica:  dei tre onorevoli espressi alle Camere, due rappresentanti voteranno comunque per il Governo. Contraria a Draghi per ragioni opposte anche  Giorgia Meloni, che attacca: “A Palazzo Chigi c’è troppa sinistra”. Per questa ragione, oggi 15 febbraio, la direzione nazionale di Fratelli d’Italia si riunirà per poi ufficializzare la sua posizione.

Gli obiettivi del Governo – Finiti i passaggi istituzionali, il primo ministro Draghi dovrà occuparsi subito delle priorità del Paese. C’è da rivedere il Recovery plan e consegnarlo entro il 30 aprile, anche perché la prima tranche dei fondi europei (il 13%) potrà essere erogata solo dopo che i piani di tutti i beneficiari saranno stati approvati. Prima, però, c’è da capire cosa fare con lo stop ai licenziamenti e con la cassa integrazione, entrambi con scadenza il 31 marzo. Infine, ma non per importanza, bisognerà pensare ai vaccini. L’obiettivo è quello di arrivare a 300 mila al giorno, ma al momento solo il 2,12% della popolazione ha ricevuto entrambe le dosi necessarie per l’immunità.

I ministri di Draghi – È vero che la squadra di Governo rispecchia le forze della maggioranza, ma a gestire il 90% dei 209 miliardi in arrivo dall’Ue saranno i ministri tecnici e non quelli di partito. Per ricevere i fondi, il piano da  presentare alla Commissione europea dovrà prevedere almeno il 37% di progetti per la transizione ecologica e il 20% per la trasformazione digitale. Roberto Cingolani, si occuperà dei primi; Vittorio Colao, già a capo della prima task force voluta e poi ignorata dal Governo Conte, sarà invece a capo del ministero dell’Innovazione tecnologica e della transizione digitale. A chiudere il trio di fedelissimi, Enrico Giovannini che si occuperà di infrastrutture e trasporti.