Giorgio Napolitano saluta al termine del discorso di insediamento

A ventiquattro ore dal cerimoniale di re-insediamento, primo nella storia e volutamente snello, Giorgio Napolitano è tornato a fare il Capo dello Stato e si è subito rituffato nel vortice delle consultazioni politiche. “A 56 giorni dalle elezioni del 24 e 25 febbraio si deve senza indugio procedere alla formazione dell’esecutivo”, aveva detto ieri davanti alla camere riunite, sotto uno scroscio di applausi. L’ipotesi delineata dal “Gigante tra i nani”, come l’ha definito oggi il Financial Times dopo il discorso d’insediamento, era “di intese tra forze diverse per far vivere un governo”: “Non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni”, che hanno sostanzialmente spaccato in tre forze quasi pari il Parlamento.

Ieri solo Grillo e i suoi continuavano fermi sulla linea di non collaborazione e “anti-inciucio”, mentre quasi tutti i deputati avevano parole di elogio per il discorso di Napolitano. Oggi il richiamo alla “responsabilità” del neo Presidente pare già lontano. “La nostra contrarietà alle larghe intese non è mancanza di rispetto nei confronti di Napolitano”, dice Titti di Salvo, di Sel. “Non stiamo parlando di un un’alleanza di governo con Moro ma con Berlusconi”. E non è l’unica, a sinistra, a pensarla così: “Non ci sono spazi per governissimi”, ha confermato Dario Franceschini all’Unità di oggi. “Berlusconi resta un avversario”. E come lui anche Laura Puppato, altra fondatrice del Pd: no a un governo di larghe intese che duri a lungo, che potrebbe essere accettato solo se avesse “ tempi molto brevi e definiti”. E uno scopo, “altrimenti si tradirebbe la necessità forte di un investimento politico”.

A destra c’è altrettanta animosità, e confusione. Se Ignazio La Russa (ora Fratelli d’Italia) dice “no all’alleanza di inconciliabili”, l’onorevole Pdl Maurizio Gasparri sottolinea come il suo partito non voglia “soluzioni abborracciate”, che portino a un governo senza solidità alle spalle.

Le consultazioni partono già in salita, dunque. Napolitano incontrerà nell’ordine Lega, Scelta Civica, Movimento 5 Stelle, Pdl e infine Pd: stamattina il pellegrinaggio al Colle dei vari leader è stato aperto dal presidente del Senato Pietro Grasso, che alcuni (Il Giornale di oggi) vedono come un papabile premier. La vox populi, in realtà, vorrebbe favorito Giuliano Amato, uomo di sinistra ma accettabile anche a destra, di grande esperienza e già nominato durante il toto-Quirinale. Ma anche su questo nome “condiviso” c’è chi dice no: su di lui “abbiamo una pregiudiziale insuperabile”, secondo il governatore veneto, Luca Zaia, parlando a nome della Lega Nord.

Dal Pd, però, si è levato anche il nome di Renzi  come possibile capo del governo. A farlo proprio la corrente dei Giovani Turchi che hanno sempre contestato il sindaco di Firenze (i maligni dicono “per bruciarlo”). La sua ex rivale alle primarie, Puppato, lo appoggerebbe, (“Credo che possa risultare più accettabile anche per tutti noi dare un voto positivo a un governo ringiovanito”), e anche il segretario Cisl, Raffaele Bonanni.

Dal Centro, ossia Scelta Civica di Monti, non fanno nomi. Ma assicurano che non ostacolerebbero un premier democratico: “Credo che il primo ministro debba essere qualcuno che consenta al Pd di mantenere la propria unità e di rimanere collegato alle esigenze del resto del Paese”, ha dichiarato stamane il “saggio” Mario Mauro, ospite alla trasmissione Rai Agorà. “Non abbiamo condizioni da dettare al presidente Napolitano”. E forse sono gli unici.

Eva Alberti