Il momento della verità è arrivato. Il 15 febbraio la Consulta si riunirà in camera di consiglio per decidere il destino degli otto quesiti referendari approdati sul suo tavolo: sei quelli in materia di Giustizia, affiancati a quelli su eutanasia e cannabis. I 15 giudici costituzionali, che dovranno pronunciarsi sull’ammissibilità dei referendum, saranno sotto la guida del neopresidente della Corte Giuliano Amato che, proprio nei giorni scorsi, si è mostrato ben disposto nei confronti dell’espressione della volontà popolare. «Dobbiamo impegnarci al massimo per consentire, il più possibile, il voto popolare – ha detto il giurista – È banale dirlo ma i referendum sono una cosa molto seria e perciò bisogna evitare di cercare a ogni costo il pelo nell’uovo per buttarli nel cestino». Ma la questione scalda i partiti, con il PD che esprime scetticismo sui quesiti giuridici e il centrodestra che invece si scaglia contro i temi civili.
La giustizia – «Riteniamo che il luogo delle riforme sia il Parlamento. A maggior ragione su temi, come la giustizia, su cui è difficile intervenire con misure esclusivamente abrogative»: le parole della senatrice Anna Rossomando, vicepresidente del Senato, chiariscono la posizione dei dem nei confronti dei quesiti sulla Giustizia avanzati congiuntamente da Lega e Partito Radicale. Proposte che, inevitabilmente, incrociano la strada con la riforma del Consiglio superiore della magistratura firmata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia, che approderà alla Camera (in commissione) il 16 febbraio. Il testo di legge, che prevede una modifica al sistema elettivo del Csm, un aumento dei suoi membri da 27 a 30 e lo stop alle cosiddette porte girevoli magistratura-politica, potrebbe subire l’influenza di almeno due dei sei quesiti referendari presentati. Il primo, fortemente voluto dai Radicali, punta a eliminare il “filtro” dello Stato in caso di eventuali errori giudiziari da parte delle toghe, attribuendo direttamente al magistrato la responsabilità civile e obbligandolo a pagare di tasca sua l’eventuale condanna. Il secondo, altrettanto spinoso, interviene sulla separazione delle carriere: se la riforma proposta dal Governo vuole ridurre a due “giri” i passaggi dalla funzione di giudice a quella di pubblico ministero nel corso di una carriera, il centrodestra chiede di concedere un solo “salto”.
Gli altri quesiti – Seguono poi i quesiti sulla custodia cautelare, che i Radicali vogliono sia prevista solo in caso di rischio di reiterazione di reati gravi (ora applicata anche se sussiste il pericolo di fuga o il possibile inquinamento delle prove), e sull’abolizione di buona parte della legge Severino, che prevede l’incandidabilità e la decadenza alle cariche elettive e di governo per chi ha una condanna definitiva a più di due anni. Gli ultimi due referendum entrano nel vivo della questione Csm, chiedendo di cancellare l’obbligo, per chi decide di candidarsi al Consiglio, di essere sostenuto da un elenco di “presentatori” e di permettere la valutazione dei magistrati da parte di avvocati e docenti universitari, membri (con solo “diritto di tribuna”) del Consiglio giudiziario che elabora i giudizi sulla carriera di una toga, determinandone l’eventuale promozione o bocciatura. Quest’ultimo quesito, in caso di approvazione della riforma Cartabia, si rivelerebbe inutile, dal momento che è già prevista un’inclusione dei “non togati” nell’elaborazione delle “pagelle”. Gli avvocati potranno oltretutto esprimersi sulla delibera finale del Csm attraverso un voto spersonalizzato deciso dal Consiglio dell’ordine degli avvocati.
I temi civili – Al vaglio della Corte costituzionale anche il quesito sull’eutanasia proposto dall’Associazione Luca Coscioni di Filomena Gallo e Marco Cappato, supportato da altre associazioni e da +Europa, Possibile, Radicali Italiani e Sinistra Italiana. La richiesta è quella di abrogare le parti dell’articolo 579 del Codice penale che puniscono come omicidio l’aiuto a morire prestato a un malato consenziente. Il referendum permetterebbe così l’eutanasia attiva con la quale il medico potrebbe somministrare il farmaco letale al paziente che ha consapevolmente scelto di mettere fine alla sua vita. È sempre l’Associazione Luca Coscioni ad aver promosso, in compagnia di Meglio Legale, Antigone e Forum Droghe, il quesito che propone di depenalizzare la coltivazione della cannabis e l’eliminazione del carcere per qualsiasi condotta illecita ad essa relativa, punendo solo lo spaccio, il trasporto e l’esportazione della sostanza stupefacente. Si vuole agire anche sul piano amministrativo, eliminando la sospensione della patente di guida per chi coltiva l’erba (ma non per chi si mette al volante sotto effetto di cannabis).