«Proporre referendum su temi così delicati non è sempre una buona scelta». A dirlo è Gianfranco Pasquino, Professore emerito di Scienza politica all’Università degli Studi di Bologna, che intervistato da La Sestina ha commentato la bocciatura da parte della Consulta dei quesiti sulla legalizzazione della cannabis e sull’omicidio del consenziente. Una riflessione sull’opportunità dello strumento e sul ruolo del parlamento «che, troppo rappresentativo della società italiana, non riesce a intervenire su questioni di questo genere. È necessaria pertanto una riforma elettorale ragionata, incentrata sul potere degli elettori, non dei capi partito»

Ritiene giusta la decisione della Corte di bocciare i due referendum su “eutanasia” e cannabis?

«Ho ascoltato la conferenza stampa del Presidente della Consulta Amato e le sue argomentazioni mi sono sembrate convincenti. Il quesito sulla cannabis era formulato male. Permettendo la coltivazione delle cosiddette droghe pesanti, ci sarebbe stata una violazione degli accordi internazionali, di cui Amato non poteva non tener conto. Quello sull’omicidio consenziente, non sull’eutanasia legale, come è stato erroneamente chiamato, avrebbe comportato una possibilità di intervento troppo ampia, su cui sicuramente si sarebbe dovuti intervenire in seguito».

Secondo lei lo strumento referendario è quello adatto per modificare parti di diritto così importanti?

«Può esserlo, ma deve essere usato meglio. Intanto perché consente, per colpa della stessa Consulta, di “ritagliare” una legge e non di abrogarla nella sua interezza. Non è corretto tuttavia porre di fronte a un “sì” o un “no” temi così complicati come l’eutanasia, per cui, al fine di dare un giudizio sensato, bisognerebbe sapere le condizioni, le modalità. Serve un dibattito democratico più ampio, è stata importante in questo senso la scelta di Amato di spiegare le motivazioni dell’inammissibilità, così come dire che in alcuni casi la votazione è stata unanime, in altri prevalente. Fossi stato un giornalista gli avrei chiesto cosa ha votato lui».

Che ruolo potrà avere la Consulta sotto la nuova presidenza Amato? Le sue dichiarazioni potrebbero avere una ricaduta effettiva su un intervento del Parlamento?

«Il Parlamento è un’istituzione fatta di uomini e donne, a cui dobbiamo chiedere che intervengano. Il Parlamento purtroppo è molto rappresentativo della società italiana, e quindi si incaglia su questioni delicate, come avvenuto sul Ddl Zan, e non riesce a produrre la legge sull’eutanasia che la Consulta da anni gli chiede di fare. Finché verranno eletti malamente, malamente si comporteranno».

Cosa si aspetta allora dalla nuova legge elettorale?

«Non mi aspetto niente di particolarmente innovativo. Hanno ridisegnato i collegi con la legge Rosato tenendo conto della riduzione del numero dei parlamentari. Il problema è che quella legge è pessima. Quello che devono fare è riprendere in mano il discorso in maniera competente. Ricordandosi che esistono articoli e libri sui sistemi elettorali, e che al centro non deve esserci il potere dei leader o dei capicorrente di partito, ma piuttosto il potere degli elettori. Questo dovrebbe essere il punto dominante di qualsiasi riforma elettorale. Se non hanno le giuste energie e capacità intellettuali, dovrebbero riprendere la legge Mattarella (entrata in vigore nel 1994, sistema prevalentemente maggioritario). Mi stupisco che il presidente della Repubblica non abbia detto niente a riguardo».

Tuttavia nel dibattito pubblico le convinzioni espresse dai capi dei partiti vengono fatte automaticamente equivalere a quelle dei membri del partito

«È una cosa che non esiste. Non si può obbligare nessuno a votare una certa cosa. Siamo in un Paese libero e ciascuno di noi ha la sua opinione. Da questo punto di vista, ribadisco l’importanza dell’intervento pubblico di Amato, che ha il merito di aver aperto un dibattito».

In conclusione, è auspicabile un intervento del Parlamento su questi temi. Ma sempre di più le differenze politiche non vengono utilizzate come risorsa per trovare un compromesso, bensì come bandierine da sventolare per marcare le differenze

«Il Parlamento può farlo sempre, ma troppi parlamentari non sanno come. Le bandierine non mi interessano, l’unica che ho è quella granata, poi in un momento difficile, domenica c’è il derby».