A meno di un mese dal referendum dell’8-9 giugno su lavoro e cittadinanza si è acceso lo scontro politico dopo le dichiarazioni del ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il numero uno di Forza Italia, come tutto l’esecutivo, ha scelto la linea dell’ «astensionismo politico» invitando chi non condivide i questi referendari a disertare le urne, scatenando non poche polemiche sulla legittimità costituzionale delle sue indicazioni.
A questo proposito risponde Marco Orofino, professore ordinario di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici e Storico-Politici dell’Università degli Studi di Milano. Secondo il giurista «la norma costituzionale parla di dovere civico» – riferendosi a quanto specificato nell’articolo 48 della Costituzione – «e proprio questa scelta è stata frutto di dibattito in Assemblea Costituente tra chi voleva riferirsi al voto come dovere giuridico e chi invece non voleva renderlo obbligatorio» Proprio in questo senso, i delegati dei partiti impegnati nella stesura della nuova Costituzione repubblicana «hanno voluto – continua Orofiono – trovare un compromesso tra le parti, aprendo la strada a eventuali sanzioni giuridiche, ma che non sono obbligatorie».

Sanzioni abolite – «Subito dopo l’avvento della Repubblica» ricorda il professore «per parecchi anni abbiamo avuto una norma che prevedeva sanzioni per i cittadini che non votavano. Un esempio era la menzione sul certificato elettorale. Uno strumento che evidenziava che il cittadino non aveva votato. Norma che poi è stata abrogata quasi 20 anni fa». Quindi, sottolinea, «a oggi la norma costituzionale non è corredata a livello legislativo da una sanzione, di conseguenza il voto non è obbligatorio e chi decide di non esprimersi non può essere sanzionato».
«Una questione a sé – spiega è quella dell’invito a non votare, perché c’è una vecchia norma del 1948 che prevede una sanzione penale per il funzionario che attraverso l’esercizio della sue funzioni impedisca il voto. In concreto: se un sindaco rende impossibile l’accesso alle cabine elettorali, si tratta di un comportamento attivo per evitare che il cittadino partecipi al voto». Per quanto riguarda le dichiarazioni di Tajani però «si stratta di un invito, non di un’azione concreta e quindi rientra nei margini della libertà di pensiero». Quindi per forza di cose «il suo comportamento non è illegittimo per due ragioni: la prima perché la Costituzione qualifica il voto come un dovere civico e non giuridico, mentre la seconda perché il ministro non sta avendo un comportamento attivo per impedire il voto»

Obbligo si,  obbligo no – Nella storia delle democrazie occidentali, alcuni Paesi hanno deciso per l’obbligatorietà giuridica. Tra gli altri ricordiamo il Belgio, dove l’obbligo esiste dal 1894 per gli uomini e dal 1948 per le donne e il legislatore ha voluto imporre pesanti sanzioni come limitare le possibilità di lavorare nel settore pubblico. «Questo» spiega il professore della Statale «è uno dei dibattiti più accesi che hanno avuto luogo in Costituente, per poi concludersi in un nulla di fatto dato che i padri costituenti capirono che obbligare al voto era una cosa difficile tanto da controllare, quanto da sanzionare» ed proprio per questo «che la politica comprese che era meglio identificarlo come dovere civico» anche perché subito dopo il ventennio fascista la partecipazione al voto toccava l’80%. Nessuno si aspettava la drastica diminuzione dell’affluenza che ha luogo oggi.

Dovere civico sempre? – Molti si sono domandati se l’articolo 48 – Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico – si riferisse solo alle elezioni per le istituzioni come Parlamento, Consigli regionali e organi amministrativi locali oppure se questo dovere civico è da estendersi anche alle questioni di iniziativa popolare, come i referendum. Su questi punto non ci sono dubbi per Marco Orofino. «La norma è pensata per ogni occasione in cui il cittadino è chiamato alle urne, dunque anche per i referendum»