Abito blu, camicia bianca e cravatta viola che il fido Delrio gli sistema con fare paterno. Un caffè bevuto in fretta e furia sul banco del governo, stracolmo di fogli e degli immancabili tablet e smartphone. Rispetto alla giornata di lunedì al Senato, Renzi si è portato dietro anche il suo pc portatile. Dopo la fiducia incassata ieri a Palazzo Madama, è il giorno del dibattito sulla fiducia al suo governo alla Camera. E così si presentato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, la mattina del 25 febbraio, alla sua seconda giornata campale.
Un Secondo giorno di scuola che registra anche un richiamo ad alta voce fatto dalla presidente dell’aula Laura Boldrini, che, diretta a Renzi, ha detto: “Presidente del Consiglio, viene richiesta la sua attenzione”. 51 deputati sono iscritti a parlare: verso le 11.40, quando è il turno del leghista Massimiliano Fedriga, Renzi parla fitto fitto con Roberto Giachetti, deputato del Partito Democratico. A Fedriga questa mancanza di attenzione non va bene, e si lamenta. Immediato l’intervento della presidente Boldrini con richiamo ufficiale. Renzi, scrollate le spalle, si mette ad ascoltare Fedriga mentre Giachetti va via. Ma gli inciampi non sono finiti: pochi minuti dopo, è il turno di Raffaele Calabrò, deputato del Nuovo Centrodestra, quindi un alleato di governo per Renzi. Matteo Renzi si allontana dall’Aula e Raffaele Calabrò non accetta di parlare in assenza del presidente del Consiglio. La presidente Boldrini, facendo notare che “il governo è comunque rappresentato”, davanti all’indisponibilità di Calabrò, sospende la seduta per cinque minuti. Il nuovo capoclasse non avrà vita facile nella sua nuova aula, ma se era scontato l’atteggiamento aggressivo dei deputati del Movimento 5 Stelle – Carlo Sibilia ha definito Renzi e il ministro dell’Economia Padoan “figli di troika” – verso l’una arrivano le parole di Pippo Civati, deputato del Pd e suo ex-collega della rottamazione delle origini: “Ciao Matteo, stai sbagliando, ma ho deciso di votare la fiducia”.
Federico Thoman