Matteo Renzi lo dice da tempo: «Le riforme sono la madre di tutte le battaglie». E se è vero, la sua battaglia, il presidente del Consiglio, la sta vincendo. Almeno nel campo delle riforme costituzionali. Il ddl Boschi, che prevede anche la riforma del Senato, è già stato approvato lo scorso 11 gennaio alla Camera e, mercoledì 20, arriva al vaglio del Senato per tornare alla Camera a metà aprile. Se tutto dovesse procedere come previsto, a ottobre tocca al referendum confermativo, una vera prova di fiducia chiesta dal governo Renzi ai cittadini. Il nuovo Senato, però, entrerebbe nel pieno delle funzioni solo fra quattro anni, cioè non prima del 2020.
Il ddl Boschi prevede la fine del bicameralismo perfetto, cioè della parità dei poteri fra Camera e Senato presente in Italia da quasi 70 anni. Con la riforma, la Camera dei Deputati è l’unica che può sfiduciare il governo e ha il potere legislativo. Mentre al Senato resta il potere di approvazione delle leggi in alcuni casi specifici: revisione della Costituzione, referendum popolari, ordinamento dei Comuni, incompatibilità o ineleggibilità dei senatori.
Cambiano anche i numeri. Il nuovo Senato sarà composto da 100 membri (oggi sono 315). I senatori verranno scelti tra i membri dei consigli regionali, tra i sindaci e tra i senatori nominati dal capo dello Stato, per un mandato di 7 anni. Verranno eletti in maniera diretta, durante le elezioni regionali, non più durante quelle politiche. Le modalità delle votazioni però, non sono ancora chiare. Quello che è sicuro è che ci saranno almeno due senatori per regione. Poi, in base alla popolazione, si stabilirà quanti membri ne porterà ciascuna a Palazzo Madama.
La riforma interessa anche il Titolo V della Costituzione, quello che regola i rapporti e le competenze tra Stato e Regioni. Il potere torna allo Stato che delimita la sua competenza esclusiva e che può far valere una «clausola di supremazia». Cambiano anche le regole per l’elezione del Presidente della Repubblica, che verrà eletto solo da deputati e senatori con nuovi quorum.
La posizione dei partiti sulla questione è frammentata. «No» certo per Lega Nord, Movimento Cinque Stelle e una parte di Forza Italia che si dice già pronta a dare battaglia sul referendum. Mentre gli ex di Forza Italia – guidati da Denis Verdini – potrebbero sostenere il governo Renzi per «il bene dell’iter delle riforme».
COSA PREVEDONO LE RIFORME