Il centro europeo per l'antiterrorismo è nato a gennaio 2016 per coordinare le azioni degli Stati membri. In foto, la conferenza di inaugurazione ad Amsterdam con il direttore di Europol Rob Wainwright, il ministro per la giustizia e la sicurezza olandese Art van der Steur e il commissario Ue alle migrazioni Dimitris Avramopoulos (foto: Eu 2016 NL)

A gennaio 2016 è stato inaugurato ad Amsterdam il centro europeo antiterrorismo con il direttore di Europol Rob Wainwright, il ministro della giustizia olandese Art van der Steur e il commissario Ue alle migrazioni Dimitris Avramopoulos (foto: Eu 2016 NL)

“La circolazione tempestiva e completa delle notizie deve avvenire a livello europeo, superando le gelosie nazionali”: secondo il procuratore antimafia e antiterrorismo Franco Roberti la risposta ad un fenomeno che supera le frontiere deve essere comune. Il nostro Paese ha una cultura del coordinamento e dello scambio di informazioni in materia che deve a Giovanni Falcone: tutta esperienza operativa che, nelle parole del procuratore, sarà messa a disposizione dell’Europa. “In Italia pensiamo di correre rischi inferiori rispetto alla Francia o al Belgio e probabilmente è così”, ha detto Roberti, in un’intervista a Repubblica l’11 aprile 2016. Questo è dovuto al fatto che la comunità musulmana nel nostro paese è diversa e i giovani delle seconde generazioni sono ancora adolescenti. “Ma se non interveniamo subito”, ha proseguito Roberti, “tra cinque-dieci anni ci troveremo nella stessa situazione di Bruxelles o delle banlieue parigine”.

Il procuratore antimafia ha citato un dato che ha definito allarmante: la metà dei reclusi nei penitenziari minorili italiani sono musulmani. Si parla di circa cinquecento ragazzi, che, come i loro coetanei, sono abituati ad usare Internet e possono entrare in contatto con facilità con i siti che predicano la Jihad. Pericolosi sono anche gli intrecci fra mafia e terrorismo: secondo Roberti lo Stato Islamico è una realtà mafiosa che sfrutta il controllo del territorio per attività di imprenditoria criminale come il traffico di droga, il contrabbando di petrolio e di reperti archeologici, i sequestri di persona. In particolare, la convergenza fra i loro interessi avviene nel traffico di stupefacenti, che serve ai jihadisti per autofinanziarsi.

La lotta al terrorismo è una delle maggiori preoccupazioni per i cittadini italiani ed europei, tanto da aver superato le questioni economiche nella lista delle priorità dell’Ue: secondo i dati del rapporto Eurobarometro relativi all’autunno 2015, gli europei credono che l’antiterrorismo sia la seconda sfida principale per l’Ue, dopo l’immigrazione e prima dell’economia e occupazione. Il 72 per cento del campione europeo (e il 68 per cento di quello italiano) è favorevole ad una risposta comune alla minaccia, attraverso una politica Ue di sicurezza e difesa. Gli attacchi del 13 novembre 2015 a Parigi e quelli del 22 marzo 2016 a Bruxelles hanno evidenziato le difficoltà di coordinamento fra le forze impegnate nel contrasto al terrorismo dei Paesi dell’Ue. Negli anni passati, l’Unione europea ha previsto e sviluppato alcuni strumenti, ma per ragioni diverse, nessuno di questi è ancora usato al pieno delle potenzialità.

Lo scambio dei dati. Nel 1985 l’accordo di Schengen e le sue successive integrazioni stabilivano la libertà di attraversamento delle frontiere. Ma per compensare questa novità con le esigenze di sicurezza, veniva decisa la creazione del Sis (il Sistema di Informazione Schengen, diventato Sis II dal 2007): una banca dati dove le forze di polizia e le guardie di frontiera dei Paesi europei possono mettere in comune le informazioni in loro possesso su persone sospette. L’aggiornamento del Sis II non è automatico ma deve essere chiesto dal singolo Stato e non tutti lo fanno con frequenza regolare, vista la reticenza degli Stati a scambiare notizie segrete. Proposta dalla Commissione europea nel febbraio 2011, la Direttiva sul Pnr, il registro per la registrazione dei dati dei passeggeri sui voli intraeuropei, dovrebbe essere un ulteriore strumento di raccolta dati. Il Pnr contiene informazioni come il nome, la data e la tratta di viaggio, il posto assegnato, i contatti e le modalità di pagamento. Ma per ora la direttiva è bloccata al Parlamento europeo, che resiste alla sua approvazione in nome della privacy. Nel Consiglio europeo su Giustizia e Affari interni, convocato dopo l’attentato del 22 marzo, i ministri dell’interno Ue hanno annunciato di voler accelerare il processo di adozione.

In pochi lo conoscono, ma Gilles de Kerchove è l'uomo cui spetta il coordinamento del contrasto al terrorismo nell'Unione europea (foto: Ansa)

In pochi lo conoscono, ma Gilles de Kerchove è l’uomo cui spetta il coordinamento del contrasto al terrorismo nell’Unione europea (foto: Ansa)

Il coordinatore europeo antiterrorismo. Si chiama Gilles de Kerchove, è belga e nel 2007 è stato nominato coordinatore europeo anti terrorismo dall’allora rappresentante per la politica estera Javier Solana. Dopo gli attentati di Madrid dell’11 marzo 2004, il Consiglio europeo adottò una dichiarazione sulla lotta al terrorismo che prevedeva l’istituzione di questa figura. Il suo mandato e i mezzi finanziari sono limitati: de Kerchove deve coordinare i lavori del Consiglio europeo nella lotta al terrorismo, formulare raccomandazioni sulla base dei rapporti dell’Europol, controllare l’attuazione della strategia antiterrorismo dell’Ue. Un ruolo di rappresentanza che lo ha portato a partecipare a conferenze in tutto il mondo ma con pochi poteri reali.

Il centro per l’antiterrorismo europeo (ECTC). Inaugurato il 25 gennaio 2016 dal direttore di Europol l’inglese Rob Wainwright, il centro è una struttura dell’Europol, l’ufficio europeo di polizia che si occupa del contrasto al crimine. L’Ectc è guidato da Manuel Navarrete, colonnello della Guardia civil spagnola esperto del tema per aver combattuto nel suo Paese il terrorismo basco dell’Eta, ed è composto da circa 30 persone. Nel giorno della nascita del centro, Navarrete ha detto che stiamo assistendo a una maggiore strutturazione dell’azione dello Stato islamico in Ue: «Ci sono gruppi di 9-10 persone che sanno coordinarsi, c’è una gerarchia, ordini da rispettare. Possiamo dedurre che l’Isis ha rafforzato la sua leadership e sa esercitarla. Ma è terribilmente difficile prevedere quando, come e dove». Per questo, il centro ha l’obiettivo di rispondere ad una rete criminale che passa i confini europei in libertà, aumentando la condivisione delle informazioni e il coordinamento delle operazioni: il centro è però lontano dal somigliare ad una Cia europea perché agisce supportando le autorità degli Stati membri nelle indagini.

Livia Liberatore