Malumori crescenti nel centrodestra prima per il patto Meloni-Schlein, poi per il decreto Elezioni. «Maggioranza compatta, solo sfumature diverse», ha rassicurato la presidente Giorgia Meloni. Ma non è della stessa idea il fronte leghista, rimasto sorpreso dall’ordine arrivato dalla maggioranza di astenersi sulla mozione presentata martedì 13 febbraio in aula dal Pd con cui si chiedeva l’immediato cessate il fuoco a Gaza. Posizione che Meloni non avrebbe discusso prima con l’alleato Matteo Salvini, con il quale è in corso uno scontro anche sulla questione del terzo mandato per i governatori.

La mozione dem – Il vice leghista Andrea Crippa ha riferito a La Stampa l’irritazione del partito, sottolineando che le posizioni di maggioranza vanno prese all’interno della coalizione e non accordandosi con il Pd. Il riferimento è alle telefonate tra Meloni e Schlein. Due, per la precisione, che hanno portato a una mediazione per la risoluzione del cessate il fuoco. La trattativa si era concentrata sul primo punto del testo: la leader dem era contraria alla richiesta della liberazione degli ostaggi israeliani come presupposto per lo stop alle armi. Si è trovato un accordo con Meloni non subordinando una condizione all’altra: «Il Parlamento impegna il governo a sostenere ogni iniziativa volta a perseguire la liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani e a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza al fine di tutelare l’incolumità della popolazione civile, garantendo altresì la fornitura di aiuti umanitari continui, rapidi e sicuri all’interno della Striscia». Il testo alla Camera è stato approvato grazie ai 129 voti delle opposizioni e all’astensione dei 159 deputati della maggioranza di centrodestra. La svolta di Meloni ha colto alla sprovvista il capo del Carroccio: proprio la sera del voto Salvini era ospite di un ricevimento all’ambasciata di Israele dove ha ribadito il sostegno a Tel Aviv.

Contrasti sul terzo mandato – La Lega ha presentato un emendamento al decreto Elezioni sul terzo mandato per i governatori. Ma è arrivato il no da Meloni e Tajani, che vorrebbero prolungare la durata della carica solo per i sindaci dei Comuni con meno di 15mila abitanti. Questa seconda versione metterebbe alla porta il governatore leghista del Veneto Luca Zaia, che ha terminato i mandati a disposizione. In casa Meloni, dove viene ricordato che nelle scorse elezioni FdI ha ottenuto il 32,6% dei voti veneti, la Lega il 14,6%, c’è già un nome sul dopo Zaia: il senatore di Fratelli d’Italia Luca De Carlo. Mentre il governatore del Veneto parla così di se stesso: «Sentire Zaia parlare di terzo mandato può diventare anche un po’ stucchevole, a me fa venire l’orticaria nel senso che sembra quasi una mia difesa. Si tratta di fare una scelta di campo: o decidiamo di mettere al centro dell’attenzione nella scelta della classe dirigente i cittadini, e allora dobbiamo togliere il blocco dei mandati che, ricordo, in Italia in maniera atipica esiste solo per i sindaci e i governatori. Dire che si creano centri di potere è offendere i cittadini».