Il rito laico delle votazioni corrisponde per i più al momento in cui si va al seggio e si esprime la propria preferenza nel segreto dell’urna. Per altri significa passare due o tre giornate intere ad organizzare e coordinare le attività di voto, a timbrare e consegnare le schede, a registrare gli elettori e infine contare e dare un esito. A Osnago, il Comune con l’affluenza più alta della provincia di Lecco (31,46%, alle ore 23 di domenica 8 giugno), la scrutatrice con maggior esperienza è Diana Maggioni. Quasi immancabile in questo ruolo o in quello di segretaria o di presidente di seggio dalla seconda metà degli anni Ottanta ad oggi nella scuola elementare del paese. A Osnago, amministrato dallo stesso gruppo di centro-sinistra dal 1995, è conosciuta per il suo impegno nel volontariato e per essere stata in Consiglio comunale per tre mandati dal 2009, anche come assessora.

La rappresentante di seggio Diana Maggioni con il sindaco di Osnago Felice Rocca
Per quale motivo ha cominciato a fare la scrutatrice?
«Era la seconda metà degli anni Ottanta, mi ero da poco diplomata e lo vedevo come un modo per guadagnare qualcosina, rendendo anche un servizio alla comunità. Per essere presidente di seggio serve la laurea e appena mi è stato possibile ho assunto questo ruolo».
Non ci sono mai state delle tornate elettorali in cui si è presa una pausa?
«Chiaramente per le elezioni amministrative in cui mi sono candidata come consigliera. A parte questo, ho mantenuto la funzione di presidente di seggio, a parte una parentesi di circa dieci anni, dal 2005, ma non per mia volontà. La nomina è della Corte di appello e la mia richiesta è stata scartata. Ho comunque fatto la segretaria o la scrutatrice anche in quel periodo».
Questa costanza non avrà solo ragioni economiche, per quel che viene riconosciuto agli scrutatori.
«Mio nonno era uno dei ragazzi del ’99. Entrambi i miei nonni, contadini, hanno fatto le due guerre mondiali e con le loro famiglie hanno visto cosa significava vivere sotto un regime. Il senso civico me lo hanno inculcato loro. Mi hanno insegnato con la loro testimonianza che il diritto-dovere di andare a votare è stata una conquista».
Cos’è cambiato ai seggi rispetto agli anni Ottanta?
«Sicuramente un tempo più persone si proponevano per fare lo scrutatore e, forse, in percentuale c’erano più donne. A volte capitava che nella prima mattinata delle votazioni si presentassero quattro o cinque ragazzi pronti a sostituire eventualmente degli assenti. Ora quasi si fa fatica a trovare il numero esatto di cui si ha bisogno. Per il resto, la burocrazia è sempre la stessa. Nell’era dei computer e dell’intelligenza artificiale sembra assurdo che tutto sia cartaceo, che ogni scheda vada timbrata e che ogni annotazione vada registrata sui fogli».
Ai referendum si respira un clima di festa rispetto agli altri appuntamenti elettorali?
«Non esattamente. Le elezioni che si sentono di più, anche nei seggi, sono le amministrative. Si possono ricevere maggiori pressioni da parte dei rappresentanti di seggio. Diciamo che nei referendum il clima è più leggero, ma fa festa solo chi vince alle comunali».
Ai seggi tastate il polso dell’elettorato. Negli anni in cui governava sempre la Democrazia cristiana con quale animo andava a votare chi non si riconosceva nella Dc?
«I democristiani hanno governato a lungo, ma non per questo c’era rassegnazione in chi non li votava. Anzi, c’era maggiore convinzione e il voto era meno ballerino. Ora la disaffezione alla politica è sotto gli occhi di tutti».
Ha mai vissuto dei momenti difficili al seggio?
«Non particolarmente. Quando ci sono stati dei problemi nel conteggio delle schede, ho fatto chiudere la porta per evitare che si creasse maggiore tensione per qualche contestazione. In quei momenti serve non perdere la lucidità. Una difficoltà che mi viene in mente è stata quando una persona disabile in carrozzina è venuta accompagnata. Non mi era capitato prima e mi sono coordinata con gli altri presidenti di seggio per capire se il parente che era con lui potesse seguirlo fino alla cabina. Ma tutto si è risolto senza troppi intoppi».
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato, come poi è successo, che sarebbe andata al suo seggio senza ritirare le schede. Come vi comporterete se alcuni elettori volessero fare altrettanto?
«Sabato ci siamo confrontati tra presidenti di seggio. La prefettura non ha diramato delle avvertenze particolari in merito. Quindi fa fede il libretto con le “istruzioni per le operazioni degli uffici di sezione”. Tecnicamente è disciplinato come comportarsi. Un elettore può ritirare tutte, alcune o nessuna scheda. Se l’elettore non prende in mano nessuna scheda non è da considerarsi tra i votanti. Se dovesse succedere, seguiremo la procedura».
Tutto regolare quindi?
«Come detto, è possibile anche non ritirare le schede. Dopodiché, il mio pensiero è che le cariche istituzionali non dovrebbero dare ai cittadini l’indicazione di non andare a votare. Il voto è un pre-requisito di una democrazia».