Matteo Renzi
Fonte Wikipedia

Tra le accuse che il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha avanzato al presidente del Consiglio Giuseppe Conte ci sono la decisione di non avere trasferito la delega ai servizi segreti a una persona di fiducia e una gestione poco chiara dell’intelligence. All’indomani delle dimissioni delle ministre Bonetti e Bellanova, che sancisce la crisi di Governo, il nodo dei servizi segreti è ancora irrisolto.

La norma – L’attuale legge che regola i rapporti tra Palazzo Chigi e i servizi segreti è la 124 del 2007, che accentra nella figura del presidente del Consiglio le funzioni svolte in precedenza da Interni e Difesa. Il presidente è l’ultimo responsabile della gestione dei servizi, ma può scegliere di delegare questa funzione a una terza persona, l’Autorità Delegata. Il rapporto tra il primo ministro e l’Autorità è dunque molto più simile a quello di un sindaco che sceglie quali competenze trasferire agli assessori, rispetto al rapporto tra premier e ministri, dove il primo è solo un primus inter pares. L’Autorità Delegata deve quindi godere di piena fiducia da parte di Palazzo Chigi, dato che da un lato si trova a gestire informazioni delicate, dall’altro è il capo del Governo che risponde per ultimo dell’operato dei servizi. Dal 2007, ogni presidente del Consiglio ha delegato la gestione dei servizi segreti. Gianni Letta (2008-2011) è stato il primo incaricato da Silvio Berlusconi, Gianni De Gennaro (2012-2013) per Enrico Letta e Marco Minniti (2013-2016) è stato scelto da Matteo Renzi. Solo Paolo Gentiloni, che aveva accettato l’incarico di presidente del Consiglio con l’ipotesi di traghettare il Governo non ha ritenuto opportuno delegare. Quindi benché l’attuale presidente Giuseppe Conte non sia l’unico ad avere mantenuto la gestione dei servizi, questa scelta gli ha attirato diverse polemiche.

L’emendamento 5 stelle – La polemica sui servizi è iniziata il 2 settembre, quando la Camera ha approvato la proroga dello stato di emergenza e insieme alle modalità di riconferma degli incarichi per i vertici dei servizi segreti (Aise e Aise) e del Dis, Il dipartimento delle informazioni e della sicurezza. La proposta ha ricevuto diverse critiche sulle modalità di presentazione: non c’è stato coinvolgimento dell’opposizione e nemmeno del Copasir, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica. Secondo il Post, 50 parlamentari del Movimento 5 Stelle (cioè il partito di riferimento di Conte) avrebbero tentato invano di bloccare questo provvedimento con un emendamento. Nonostante le pressioni, il presidente del Consiglio non ha mai rinunciato alla delega. Le accuse di opacità nella gestione dei servizi iniziano qui e seguono il curioso caso della liberazione di Silvia Romano, dove il ministro degli Esteri Luigi di Maio dichiara che il merito è tutto dell’intelligence ma che a lui «Non risultano riscatti».

La vicenda Barr e l’inchiesta su TrumpUno dei punti su cui Renzi insiste è il caso che vede coinvolti i servizi segreti italiani e il procuratore generale Usa (l’equivalente del ministro della giustizia di Trump), William BarrNel 2019, Barr ha incontrato due volte a Roma i vertici della nostra intelligence. Secondo la ricostruzione di Renzi, il premier avrebbe aggirato i protocolli per favorire l’incontro tra i vertici dei servizi segreti italiani, in particolare il capo del Dis Gennaro Vecchione con gli 007 statunitensi. L’incontro sarebbe stato voluto da Trump per capire se l’Italia avesse un ruolo nel cosiddetto Russiagate, lo scandalo per cui ci sarebbero state delle ingerenze da parte Russia ai danni di Hillary Clinton nella campagna elettorale del 2016. Secondo la narrativa renziana Conte avrebbe favorito le indagini ai danni di Clinton e di Joe Biden in occasione della visita di Barr. Sia il primo Ministro, sia Vecchione hanno riferito al Copasir che gli incontri con Barr si trattavano di normali scambi di informazioni tra agenzie di intelligence. L’idea dei renziani è che il caso Barr sia uno dei motivi del legame tra il presidente del Consiglio e Trump, iniziato con il celebre endorsement a ‘Giuseppi’, e finito con i fatti di Capitol Hill, dove Conte ha condannato la violenza ma non il presidente.

Il caso Consip e Tiziano Renzi –  È noto il coinvolgimento di Tiziano Renzi, padre di Matteo all’interno dell’inchiesta Consip.  La vicenda in cui un misterioso imprenditore napoletano, Alfonso Romeo, è stato accusato di corruzione ai danni della pubblica amministrazione (con ‘Consip’ si indica la centrale acquisti della Pa). Molta agitazione è seguita alla pubblicazione di alcune intercettazioni che avrebbero i due Renzi, padre e figlio, come protagonisti. Dato che ad un certo punto l’inchiesta Consip ha assunto i tratti dell’indagine sulla fuga di notizie riservate, è probabile che Matteo Renzi abbia a lungo temuto l’idea che i servizi segreti fossero stati coinvolti in modo improprio dal presidente del Consiglio.