L’8 e il 9 giugno oltre 47 milioni di italiani saranno chiamati a votare, non per rinnovare il Parlamento o per scegliere chi mandare in Europa, ma per decidere su cinque quesiti nella prima consultazione referendaria abrogativa del 2025. Sono passati 3 anni dall’ultima, che riguardava la separazione delle carriere dei magistrati. In quell’occasione non è andata bene ai promotori del Sì: nel 2022 il quorum non fu raggiunto e quindi  non è cambiato alcunchè.

I quesiti – Quattro di questi referendum, promossi dalla CGIL – uno dei maggiori sindacati – si occupano di lavoro o meglio dei diritti dei lavoratori. Nel concreto si vogliono abrogare alcune parti della riforma del Jobs Act introdotte dal governo Renzi. Nel miribo ci sono le norme sui licenziamenti illegittimi,  dove si vuole l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti a tutele crescenti, evidenziando che nelle imprese con più di 15 dipendenti i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non possono rientrare nel loro posto di lavoro dopo un licenziamento senza giusta causaPoi vengono le norme sulle tutele dei lavoratori delle piccole imprese: Il sindacato chiede di cancellare il tetto all’indennità. Ad oggi in quelle con meno di 16 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo un lavoratore può ottenere un massimo di 6 mensilità di risarcimento. Un terzo quesito punta alla riduzione del lavoro precario. limitando l’utilizzo generalizzato dei contratti a termine. Dal sindacato spiegano che «i rapporti a termine possono oggi essere instaurati fino a 12 mesi senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo. Vogliamo rendere il lavoro più stabile». La quarta domanda infine si riferisce alla sicurezza sul lavoro e vuole estendere la responsabilità degli infortuni anche ai responsabili dell’impresa appaltante.
C’è una quinta domanda a cui gli italiani devono rispondere. Questa volta si tratta di una questione sui diritti sociali che ha riacceso gli animi della politica: la cittadinanza. Infatti è stata una minuscola parte politica, con una rapptresentanza di appena tre deputati, +Europa, a dare il via alla raccolta firme per dimezzare da 10 a 5 anni i tempi di residenza legale in Italia per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana.

Come funziona – Cinque domande, cinque schede e una matita con cui i cittadini dovranno scegliere se dire Sì e quindi abrogare le leggi presenti nei quesiti o dire No e quindi mantenerle in vigore. Non basta però che i Sì arrivino davanti ai No. Quando si parla di un referendum abrogativo entra dalla porta principale il nemico numero uno dei promotori, il quorum. Per l’appunto, secondo il nostro ordinamento, perché questo tipo di consultazione sia valida è necessario che ogni quesito venga votato da almeno il 50% + 1 degli aventi diritto al voto. Una questione che preoccupa chi sostiene il Sì, anche perché se guardiamo al passato è dal 1997 che referendum abrogativi non raggiungono il quorum, tranne nella parentesi 2011 dove tutti e quattro i quesiti lo hanno raggiunto.
Quest’anno, per la prima volta, anche i cosiddetti fuori sede – per motivi di studio, lavoro o salute – potranno partecipare al voto. Fino al 4 maggio era possibile, infatti, registrarsi presso il comune del domicilio temporaneo portando all’ufficio elettorale oltre alla domanda, un documento di identità, la tessera elettorale e una certificazione che validi la condizione di fuori sede.

Le posizioni dei partiti – La CGIL non è un partito ma un sindacato, che però ha trovato sostegno da alcuni gruppi presenti nell’emiciclo di Montecitorio. Oltre a +Europa, anche  Elly Schlein ha dichiarato che il Pd sosterrà le iniziative referendarie dichiarando che il partito «è pronto a dare il suo contributo per agevolare la più ampia partecipazione al voto». Dal Movimento 5 Stelle arriva l’ok al sostegno dei quesiti sul lavoro, ma il leader Giuseppe Conte ha voluto dare libertà di voto su quello per la cittadinanza. Insieme a Pd e 5 stelle anche Alleanza Verdi e Sinistra conferma la linea del Sì a tutti i quesiti
Nel centrodestra tutto tace dalle segreterie della maggioranza, che osservano senza esporsi. L’obiettivo è non fare campagna per il No, ma rimanere alla finestra , lavorando indirettamente per non far raggiungere il quorum. Dalla sede di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha ufficializzato la linea dell’astensione, Lega e Forza Italia per ora adottano il “no comment”.
Sulla stessa linea, dopo il divorzio di due anni fa, si trovano Azione e Italia Viva. I partiti di Carlo Calenda e Matteo Renzi infatti sostengono solo il quesito sulla cittadinanza, come ci si poteva immaginare, dato che uno era ministro dello Sviluppo Economico e l’altro presidente del Consiglio quando il Jobs Act è stato approvato.