Dopo un lungo iter parlamentare, lunedì 13 dicembre è approdato nell’Aula della Camera il disegno di legge sul fine vita. Il testo nasce in teoria per dare attuazione alla sentenza con cui nel 2019 la Corte costituzionale aveva escluso la punibilità di chi aiuta una persona a suicidarsi in determinate condizioni. Nella pratica rischia di tradursi in un flop simile a quello del Ddl Zan: il centrodestra è pronto all’ostruzionismo, lo spettro dei franchi tiratori aleggia all’orizzonte e ora anche le stesse associazioni attiviste bollano il provvedimento come compromesso al ribasso e fonte di discriminazione tra malati. Una serie di ostacoli che promettono di rendere sempre più tortuosa e in salita la strada verso l’approvazione.

Il testo – La norma renderebbe non più punibile il fine vita se praticato autonomamente dal paziente: si tratta quindi di una legittimazione del suicidio medicalmente assistito e non anche dell’eutanasia, dove è invece previsto un ruolo attivo del medico. Il testo, licenziato lo scorso 9 dicembre dalle commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera dopo lunghe discussioni, recepisce dunque la sentenza della Consulta sul caso di dj Fabo e Marco Cappato, in cui si chiedeva un intervento del legislatore e si sanciva l’impunità per chi agevola il suicidio di un malato terminale in presenza di determinate circostanze: la piena coscienza e volontà della persona, l’irreversibilità della sua patologia, il fatto che questa sia fonte di gravi sofferenze. Tutte condizioni effettivamente recepite dal provvedimento, che però su pressione dei partiti di centrodestra (Lega, Forza Italia, Coraggio Italia e Fratelli d’Italia) ha subito diversi aggiustamenti in senso restrittivo. Tra le modifiche più contestate dai sostenitori della causa spiccano l’introduzione dell’obiezione di coscienza per medici e personale sanitario, l’obbligo di rifiutare le cure palliative e la limitazione dell’accesso alla procedura solo a chi è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale.

Discriminazione tra malati – Nell’attuale formulazione, sottolineano svariate associazioni attiviste dedite alla causa, la norma escluderebbe di fatto tutti quei malati di patologie irreversibili e portatori di gravi sofferenze ritenute intollerabili (come ad esempio un cancro non più curabile) che non sono collegati a macchinari cui “staccare la spina”. Escluderebbe inoltre le persone che non hanno più un’autonomia fisica e che hanno perso qualsiasi possibilità di mobilità, pur rimanendo perfettamente capaci di intendere e volere. Il testo, infatti, non prevede la cosiddetta “eutanasia attiva”, che avviene quando è il medico a somministrare il farmaco necessario a morire. Quanto alla cure palliative, diventerebbero un passaggio obbligatorio senza il quale non sarebbe possibile beneficiare del trattamento. Solo dopo essere stati coinvolti in un percorso di questo tipo e averlo rifiutato si potrà infatti fare richiesta di assistenza alla morte volontaria. Una previsione che ha due conseguenze: allungare i tempi «per chi tempo non ne ha» e precludere l’iter a chi voglia ricevere assistenza fino all’ultimo.

La bocciatura di Cappato – «Si tratta di un ottimo testo». Così si erano espressi il 10 dicembre i presidenti delle commissioni Giustizia e Affari sociali Mario Perantoni e Marialucia Lorefice, esponenti del Movimento 5 Stelle che ha sostenuto il provvedimento insieme a Partito Democratico, Italia Viva, Leu e +Europa. Di «ottimo testo, frutto del lavoro accurato e costruttivo di tutte le forze politiche» aveva invece parlato il dem Alfredo Bazoli, relatore del disegno di legge insieme al grillino Nicola Provenza. Non sono della stessa opinione Marco Cappato e Filomena Gallo dell’Associazione Luca Coscioni, tra i promotori del referendum per l’eutanasia legale appena approvato dalla Cassazione, che hanno bocciato la misura presentando una proposta di emendamenti ritenuti indispensabili. «Il Ddl è un’occasione mancata perché non prevede termini certi per evitare boicottaggi istituzionali come quello in atto contro “Mario” nelle Marche», hanno detto al fattoquotidiano.it i due attivisti. Che hanno aggiunto: «Occorre eliminare la discriminazione nei confronti dei pazienti che non sono tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale, come ad esempio i malati terminali di cancro, e fissare tempi certi per la risposta ai malati, affinché non si debba attendere fino a 16 mesi per avere il via libera». Anche per il presidente di +Europa, Riccardo Magi, il documento risulta «votato sbrigativamente dopo anni di paralisi» ed è quindi «gravemente insufficiente». «Scopo: portare in Aula un testo quale che sia, rinviando le scelte sui nodi non sciolti. Esito prevedibile: lo stesso del Ddl Zan. I nodi non sciolti ora non lo saranno dopo», ha scritto Magi in un Tweet.

Franchi tiratori e partiti spaccati – La partita si prepara dunque a entrare nel vivo. Anche se sarà solo il primo passo, visto che probabilmente il voto sul suicidio assistito slitterà a fine gennaio o febbraio, dopo l’elezione del presidente della Repubblica. Sulla carta, i numeri per il centrosinistra alla Camera ci sono, con uno scarto di circa 25 voti favorevoli rispetto ai contrari ma saranno tanti i voti segreti e i franchi tiratori potrebbero essere il vero ago della bilancia. Ad aumentare le incertezze anche gli scollamenti all’interno delle singole forze politiche: in Forza Italia c’è ad esempio un gruppo di laici pro legge sull’eutanasia capitanati da Elio Vito, mentre nella Lega il fronte contrario è meno compatto del previsto. Italia Viva dovrebbe dare libertà di voto, anche se nelle commissioni Lucia Annibali e Lisa Noja sono state convintamente a favore. Così come i grillini e i Dem. Proprio il Pd, tuttavia, ha convocato la scorsa settimana una riunione tra i membri delle commissioni e il segretario Enrico Letta: dubbi soprattutto dell’ala più a sinistra del partito, scettica sull’aver teso la mano in commissione a un centrodestra che promette comunque di mettersi di traverso.