È arrivata anche la firma numero 64, quella decisiva per avviare l’iter referendario. Un quinto dei senatori ha depositato la richiesta di rimettere nelle mani dei cittadini la decisione sul taglio del numero dei parlamentari da 945 a 600, dopo l’ultimo voto favorevole della Camera alla riforma costituzionale lo scorso 8 ottobre: prima che venga indetto il voto popolare si deve attendere l’esame da parte della Cassazione. Con questa novità, salgono sempre di più le quotazioni che vedrebbero la legislatura cadere prima della scadenza naturale nel 2023.
La riforma – La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari è stata fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle. Secondo il testo passato da quattro letture parlamentari, la nuova legge prevedrebbe il passaggio dagli attuali 945 ai futuri 600 eletti, una sforbiciata pari al 36,5%: Montecitorio passerebbe da 630 a 400 deputati, mentre Palazzo Madama da 315 a 200 senatori. Meno parlamentari vorrebbe dire non solo un risparmio di 57 milioni l’anno (285 ogni legislatura), secondo i dati dell’Osservatorio dei Conti Pubblici, ma anche che ogni membro del Parlamento rappresenterà più elettori: alla Camera si passerebbe da un deputato ogni 96 mila elettori a uno ogni 151 mila e in Senato da un senatore ogni 188 mila elettori a uno ogni 302 mila.
Il voto delle Camere – L’iter di riforma costituzionale ha richiesto due votazioni in Senato e due alla Camera. L’approvazione definitiva in Senato era arrivata l’11 luglio, con 180 favorevoli e 50 contrari. Alla Camera invece l’8 ottobre, con 553 voti a favore, 14 contrari e 2 astenuti: sia le forze di maggioranza (Movimento 5 Stelle, Pd, Italia Viva e Leu), sia quelle di opposizione (Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega) hanno raggiunto un’intesa sul taglio. Tra i contrari invece +Europa e alcuni singoli deputati in dissenso dal loro gruppo. I risultati hanno così confermato «un voto trasversale del parlamento, non solo un voto di maggioranza», come aveva chiesto il capo politico dei pentastellati, Luigi Di Maio.
Il referendum – Già il 10 ottobre è arrivato però l’annuncio del senatore dem Gianni Pittella – attraverso un post su Facebook in compagnia di «alcuni senatori di schieramenti diversi» – di voler fare esprimere i cittadini su una tematica controversa, attraverso un referendum popolare. La proposta è stata ufficialmente presentata dai senatori Tommaso Nannicini (Pd), Andrea Cangini e Nazario Pagano (entrambi FI): tutte e 64 le sottoscrizioni che sono state raccolte dal 10 ottobre al 18 dicembre sono custodite in un ufficio di Palazzo Madama e devono essere ora trasmesse in Cassazione per la verifica e l’approvazione dell’iter referendario. In questo modo la legge sul taglio dei parlamentari, che doveva entrare in vigore nel gennaio 2020, subisce una battuta d’arresto e si riaccendono le speranze di chi vuole elezioni anticipate.
Con alcuni Senatori di schieramenti diversi per richiedere il referendum sul taglio dei parlamentari. É giusto che i…
Pubblicato da Gianni Pittella su Giovedì 10 ottobre 2019
Le reazioni politiche – Il nodo principale è legato, appunto, alle elezioni anticipate e alla possibilità dei parlamentari di qualsiasi schieramento di perdere la poltrona alla prossima tornata elettorale (che sarebbe la prima con la nuova forma di Parlamento ridotto del 30% dalla nuova legge): se la legislatura dovesse concludersi nei prossimi mesi, cioè nel periodo in cui saranno in corso le procedure per avviare il referendum, si tornerebbe infatti alle urne per eleggere l’attuale numero di parlamentari (900). Tutti salvi, a prescindere dal voto alle Camere. Nel commentare la notizia, i leader dei partiti politici tendono a non sbilanciarsi (fatta eccezione per Giorgia Meloni, leader di FdI, che ha annunciato che chiederà ai cittadini di votare per il sì): da una parte ci sono interessi sul lungo raggio nel cavalcare la probabile decisione dei cittadini di dare un colpo di accetta alle spese dei parlamentari, dall’altra quelli di breve periodo nel tornare in fretta a elezioni e non perdere rappresentanti eletti nelle proprie fila.
Grande sostenitore del voto anticipato è Matteo Salvini, che ha commentato l’avvio della procedura referendaria ai microfoni di Radio Radicale: «Sono d’accordo sui referendum in generale, ho votato quella riforma. Quando i cittadini confermano o smentiscono una riforma approvata dal Parlamento secondo me è sempre la scelta migliore». Più polemico è Luigi Di Maio: «Ogni referendum per noi è sacro. Ma vorrei anche dire ai 64 firmatari che forse potevano andare in piazza a raccogliere le 500 mila firme che servono per la richiesta del referendum, fare dei banchetti, insomma coinvolgere le persone veramente. Ma dubito che le avrebbero raccolte».