Sono quasi 30 anni che se ne parla e che si litiga. Ma mai come in questi ultimi giorni la questione si è fatta rovente tanto da mettere in discussione la tenuta del  governo. La linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, normalmente abbreviata in Tav, è un progetto nato prima dello scioglimento dell’Unione Sovietica, ma mai giunto a compimento. Lavori iniziati e poi interrotti, proteste e manifestazioni lungo tutta la Val di Susa, revisioni economiche e progettuali hanno caratterizzato la vicenda fin dalle sue origini. Oggi, dopo l’ultima analisi costi-benefici voluta soprattutto dalla componente pentastellata del governo giallo-verde con molte riserve da parte della Lega, nessuna decisione definitiva è stata ancora presa.

Il progetto iniziale – Il primo studio sulla fattibilità della tratta ferroviaria Torino-Lione fu commissionato dai governi italiano e francese nel 1991. Tre anni dopo, nel 1994, il Consiglio europeo di Essen iscriveva il progetto tra i 14 ritenuti prioritari, in Europa, nel settore dei trasporti. Nel 2001, nonostante dure contestazioni del movimento No Tav, Giuliano Amato e Jaques Chirac firmarono il primo accordo tra Italia e Francia per la realizzazione dell’opera. Il documento parlava di una parte francese, tra Montmélian e i dintorni di Saint-Jean-de-Maurienne, una parte italiana tra Bussoleno e il nodo di Torino e una parte comune italo-francese, tra Saint-Jean e Bussoleno, che i governi dei due Paesi s’impegnavano a portare a termine. Nel 2003 l’azienda francese Ltf, creata appositamente per la costruzione della Tav, prevedeva un tunnel geognostico a Venaus, in provincia di Torino: la comunità locale reagì con preoccupazione all’iniziativa, per via della possibile presenza di amianto sul sito. Il governo Berlusconi tentò comunque di avviare il cantiere, scatenando l’opposizione dei gruppi contrari, guidati dai No Tav: l’8 Dicembre del 2005 una manifestazione con 30mila partecipanti irruppe a Venaus e smantellò il cantiere. 

La prima revisione – Nel 2011 il progetto fu rivisto e approvato: si decise di spostare il tracciato del tunnel sulla riva destra del Dora, rinunciando ai tunnel di Bussoleno e del Musinè. La nuova tratta sarebbe stata lunga 65 km, coprendo la distanza tra Susa e Saint Jean de Maurienne: il costo previsto era di 8,6 miliardi, cofinanziati per il 40% dall’Europa. Rivisto nel 2016 con la certificazione dei costi e il perfezionamento del regolamento dei contratti per i cantieri italiano e francese, il nuovo accordo Italia-Francia diede impulso a un lavoro colossale, ma sempre parziale: secondo Telt, la società a cui fu trasferita la gestione del progetto, fino a dicembre 2018 sono stati scavati 25 km tra Italia e Francia, pari al 15% dell’intera opera, a cui continuano a lavorare 800 persone.

L’analisi costi-benefici 2018 – Oggi, sull’intero discorso Tav, pesa l’analisi costi-benefici voluta dal ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli e realizzata da una commissione di sei esperti presieduta dal professor Guido Ponti, noto per essere un oppositore del progetto. Si tratta di uno studio teso a misurare l’economicità dell’opera e i suoi effetti sul benessere collettivo degli enti e delle persone coinvolti nella sua realizzazione. Per fare questo sono stati calcolati i guadagni e le spese di ciascuno di questi enti e poi sommati al fine di valutarne le ripercussioni sulla salute generale. I risultati sono negativi: secondo Ponti, uno dei 5 firmatari della relazione (il sesto si è astenuto), costruire la Torino-Lione «rappresenterà un costo netto», senza produrre alcun guadagno per gli enti impegnati nell’impresa. L’analisi prospetta diversi scenari in cui variano il successo dell’opera, il numero dei veicoli spostati dalla strada alla ferrovia e altri fattori. In ciascuno di questi scenari i costi sono stimati per il primo trentennio d’attività della linea (fino al 2059, quando dovrebbe essere completata): la cifra più alta è di 8 miliardi di euro, la più bassa di 5. In ogni caso, un ritorno negativo. Sono state avanzate molte obiezioni all’analisi di Ponti e degli altri 4 commissari. Alcuni hanno accusato il team firmatario del progetto di essersi appiattito sulle posizioni del Movimento 5 Stelle, da sempre contrario alla Tav, altri hanno contestato le modalità con cui sono stati calcolate la riduzione dei tempi di percorrenza e le emissioni nocive. La critica più diffusa riguarda il calo delle accise e dei pedaggi autostradali che, secondo Ponti, causerebbe enormi perdite allo Stato e ai concessionari autostradali. Pierluigi Coppola, l’unico dei sei commissari a non aver firmato l’analisi costi-benefici, ha detto che è stato proprio il modo con il quale le accise erano state incluse nello studio a non convincerlo. Dal canto suo, Ponti ha sostenuto, insieme agli altri 4 commissari, l’accuratezza e la metodologia del lavoro svolto, che ha fornito al governo gli strumenti per orientare definitivamente la propria scelta. Tuttavia, a oggi, la decsione politica resta avvolta nell’incertezza.