Alla fine il ribaltone non c’è stato. Gli elettori hanno bocciato la riforma di revisione costituzionale. Confermati i sondaggi che hanno sempre visto il Sì in svantaggio. Il No ha vinto con ampio margine: oltre il 59% i voti contrari alla riforma, mentre il Sì ha ottenuto poco più del 40%. Finiscono così i mille giorni del governo di Matteo Renzi. Oggi pomeriggio il premier salirà al Quirinale per presentare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella le sue dimissioni. Al referendum – per cui non era necessario il raggiungimento del quorum – ha partecipato il 68,4% degli elettori italiani. Un’affluenza record, ben più alta di quella registrata in occasione dell’ultima consultazione su una riforma costituzionale.
Il voto regione per regione. 17 regioni su 20 hanno bocciato la riforma. Matteo Renzi ha raccolto soddisfazioni nella sua Toscana in cui il Sì ha ottenuto il 52,4% dei voti. Vittoria risicata anche in Emilia Romagna (50,4% per il Sì) dove la base di sinistra ha seguito le indicazioni del Partito Democratico. Netto successo solo in Trentino Alto Adige: nella provincia di Bolzano quasi un elettore su tre ha espresso il suo favore alla riforma.
Diverso il discorso per il resto del territorio. Sorprendono in particolare i dati del voto al Sud. In Sardegna, Sicilia e Campania il No veleggia a cavallo della cifra record del 70%. Più dei due terzi dei voti contrari alla riforma anche in Puglia.
Nelle province di Roma e Torino, feudi 5 stelle, netta affermazione del No, soprattutto nella Capitale dove il Sì non ha sfondato il muro del 40%. Nella Milano di Beppe Sala il voto a favore della riforma ha strappato di poco la maggioranza, ma allargando lo spettro all’intera provincia è stato il No ad avere la meglio.
Come da previsione, il Sì ha prevalso nei tanto discussi voti degli italiani all’estero con il 65% dei voti.
Le dimissioni di Renzi. Preannunciata da un tweet, la conferenza stampa del premier si è tenuta qualche minuto dopo la mezzanotte a Palazzo Chigi. Renzi ha riconosciuto la sconfitta, complimentandosi con i leader del fronte del No «che ora hanno oneri e onori, a cominciare dalla proposta per la legge elettorale». Ha poi ringraziato «gli amici del sì che non dovrebbero sentirsi sconfitti perché chi lotta per un’idea non può perdere». Il presidente del Consiglio, addossandosi l’intera responsabilità per la sconfitta, ha annunciato la fine della sua esperienza di governo: «Non si può rimanere incollati alle abitudini e alle poltrone: la poltrona che salta è la mia. Domani pomeriggio riunirò il consiglio dei ministri, ringrazierò e consegnerò le mie dimissioni al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella».
Le reazioni. Il centrodestra invita compatto il presidente del Consiglio a dimettersi, ma sembra dividersi sul futuro della legislatura. Matteo Salvini è il primo a parlare, sfidando la scaramanzia. A dieci minuti dalla chiusura dei seggi, il Segretario della Lega Nord festeggia «la vittoria del popolo contro i poteri forti» e invita Renzi a rassegnare le sue dimissioni «per andare subito al voto senza governicchi o governi tecnici». Insiste sulla sconfitta dei poteri forti anche Renato Brunetta. A parere del capogruppo di Forza Italia alla Camera, però, «dopo le dimissioni di Renzi, il Partito Democratico ha il dovere di indicare un nuovo premier che prenda in mano le sorti del Paese». Del futuro del Pd parla anche Massimo D’Alema, esponente di spicco della minoranza democratica schierata per il No alla riforma. L’ex presidente del Copasir si è augurato che «a Renzi sia passata la voglia di rottamare» e che «il segretario si dedichi a ricostruire il Pd su basi nuove, lontane dal Partito della Nazione». D’Alema ha definito «irresponsabile andare al voto ora», considerando «necessario un governo di transizione che approvi la legge elettorale». Gli ultimi a commentare l’esito del voto sono stati i cinque stelle. In una conferenza stampa convocata a Montecitorio dopo le parole di Renzi, i grillini hanno chiesto l’immediato scioglimento del Parlamento e la convocazione di nuove elezioni. «Da domani siamo al lavoro per formare la squadra del governo a 5 stelle» ha dichiarato il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio.
Gli scenari futuri. Con la vittoria del No e le dimissioni di Matteo Renzi si aprono due possibili scenari. Il primo vede la formazione di un governo di scopo per la modifica della legge elettorale e la definitiva approvazione della legge di bilancio. La palla passa al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Starà a lui accettare le dimissioni del premier e avviare le consultazioni alla ricerca di una nuova maggioranza in Parlamento. Pier Carlo Padoan e Graziano Delrio i nomi papabili per palazzo Chigi. Da modificare l’Italicum alla Camera e il Consultellum (il Porcellum modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale) al Senato. Dopo l’approvazione della nuova legge elettorale, Mattarella potrebbe sciogliere le Camere e indire elezioni anticipate.
Il secondo, meno probabile, vede la permanenza di Renzi al governo. Uno scenario che si verificherebbe nel caso in cui Mattarella decidesse di affidare nuovamente al segretario del PD le chiavi di palazzo Chigi. Una possibilità che il premier ha smentito, contrario all’idea di «governicchi», nel suo discorso di addio. Anche in questa circostanza l’obiettivo è la modifica della legge elettorale. Il governo gestirebbe l’ordinaria amministrazione fino alla conclusione del mandato, prima delle elezioni del 2018.