Unioni-gay

Il Senato ha approvato il maxiemendamento sulle unioni civili con 173 sì e 71 no. Il testo ora passa alla Camera. In aula, al momento delle votazioni cominciate alle 17.40 del 25 febbraio, presenti 245 senatori di cui 244 votanti. Il Movimento Cinque Stelle al momento del voto è uscito dall’aula.Schermata 2016-02-25 a 20.00.08 Il sì alla fiducia sul nuovo testo, che non prevede né la stepchild adoption, cioè l’adozione del figlio naturale del partner, né l’obbligo di fedeltà, come invece lo prevede l’atto giudirico del matrimonio, è arrivato grazie ai voti dei verdiniani di Ala (Alleanza Liberalpopolare – Autonomie) che entrano ufficialmente in maggioranza di governo, insieme al Pd di Matteo Renzi e all’Ncd di Angelino Alfano. E proprio Alfano, poche ore prima, aveva espresso la sua soddisfazione per un testo, quello del maxiemendamento che sostituiva il precedente disegno di legge a firma Monica Cirinnà, che permetteva di votare la legge in tempi brevi. Sì anche da parte della minoranza dem, che poche ore prima del voto aveva annunciato, in un post su Facebook di Roberto Speranza, che avrebbero appunto votato la fiducia al governo: «Destra e sinistra esistono e sono cose diverse. Si è visto nella discussione sulle Unioni civili. Il Pd ha sbagliato a scegliere la strada al ribasso con Alfano. Ora non bisogna fermarsi. La battaglia per l’uguaglianza dei diritti è appena cominciata».

Tra le fila della maggioranza di governo non hanno partecipato al voto i senatori democratici Felice Casson e Luigi Manconi che, intervenendo al Senato, ha spiegato la sua scelta perché «lo stralcio della stepchild adoption pone una sperequazione tra i figli delle coppie eterosessuali e i figli delle coppie omosessuali» (qui il suo intervento integrale). Contrari al sì alla fiducia anche i senatori di Area Popolare Aldo Di Biagio, Roberto Formigoni, Giuseppe Marinello e Maurizio Sacconi. E contrari sono stati anche i gruppi Cor, Lega Nord, Gal (salvo Riccardo Villari) e Sel. Tra i senatori a vita, invece, favorevoli alla fiducia si sono pronunciati l’ex presidente del Consiglio Mario Monti e l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Schermata 2016-02-25 a 19.48.31Soddisfazione è stata espressa dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, che in un post su Facebook ha scritto: «La giornata di oggi resterà nella cronaca di questa legislatura. E nella storia del nostro Paese». E ribadisce di aver «ampliato i diritti senza aver fatto male a nessuno». Un po’ amareggiata la relatrice della legge Monica Cirinnà, felice di aver ottenuto il voto di fiducia ma dispiaciuta per le modifiche al testo. «È un primo passo, una vittoria con un buco nel cuore. Questa è una legge importantissima ma penso anche ai figli di tanti amici. Ora dobbiamo fare un secondo passo, siamo a metà della scala», ha detto la senatrice. Anche il ministro dell’Interno Alfano si è espresso sui social e in un tweet ha definito questa del maxiemendamento una «soluzione di buon senso».

Ma cosa cambia tra il testo affossato lo scorso 16 febbraio da quello votato in Senato? Innanzitutto il Partito Democratico ha dovuto fare marcia indietro sull’articolo 5, quello sulla stepchild adoption, cioè l’adozione del figlio naturale del partner. Il tutto per avere i voti del Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano, ora che il Movimento Cinque Stelle non ha votato il supercanguro, la prassi parlamentare che censente di cancellare in un colpo tutte le modifiche al testo che vertono sulla stessa materia. Così è decaduto il ddl Cirinnà. E Alfano ha alzato la voce: il ministro dell’Interno, divenuto l’unica possibilità per approvare la legge, ha detto no alla stepchild adoption che «apre la strada all’utero in affitto», no all’equiparazione tra unioni civili e matrimoni, no all’obbligo di fedeltà per i conviventi. Queste, per Alfano, le condizioni per votare in tempi brevi.

Nel nuovo testo mancherà poi qualsiasi riferimento al matrimonio, sempre per volere di Alfano, che vuole a tutti i costi evitare «il similmatrimonio». Tanto che le coppie gay, ha spiegato ancora il ministro, «non saranno agganciate all’articolo 29 della Costituzione, che parla della famiglia, ma ad un altro articolo, quello delle formazioni sociali». E quello che mancherà nel maxiemendamento sarà anche il vincolo di fedeltà: nel testo originale della Cirinnà, all’articolo 3, si diceva che «con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni». Ora, invece, l’obbligo di fedeltà previsto dall’atto giuridico del matrimonio tra eterosessuali, non c’è più. Una scelta voluta sì da Alfano, ma anche dai cattolici del Partito Democratico: entrambe le formazioni temono che l’obbligo di fedeltà nelle coppie gay possa essere un diritto troppo vicino a quello degli eterosessuali e quindi al matrimonio.

Ncd ha perso invece la battaglia sul cognome. Resta la possibilità di prendere quello di uno dei due partner e, se la coppia lo desidera, questo può anche associarsi a quello di origine. E resta anche la reversibilità della pensione: nel testo vengono specificate le previsioni dei costi. Infine, nel maxiemendamento si conferma l’obbligo al mantenimento e all’assistenza morale e materiale.

Nel pomeriggio di ieri 24 febbraio, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha salutato entusiasta, con un tweet, l’accordo:

Per placare poi le ire della sinistra, in aula ha spiegato che «per colpa del cinico e squallido voltafaccia dei cinquestelle, i rischi della via parlamentare erano troppo alti. Anche nella fiducia ci sono rischi, ma l’alternativa è la palude». Fiduciosa anche il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi: «Il testo è chiuso, nel senso che abbiamo raggiunto l’accordo. Il governo ha già il testo in mano, mancano solo i profili tecnici per la bollinatura e la presentazione». E persino la firmataria della legge, Monica Cirinnà, che solo una settimana fa aveva annunciato che avrebbe lasciato la politica nel caso il ddl non fosse stato approvato, ha detto che «siamo a un passo da una legge storica. Nel maxiemendamento c’è un passaggio di garanzia che non preclude il lavoro dei magistrati nella tutela della continuità affettiva del minore. Viene inoltre esplicitato il riconoscimento della vita familiare e la norma antidiscriminatoria dell’art. 3». E insieme al capogruppo dem al Senato, Luigi Zanda, ha promesso un ddl ad hoc per le adozioni.

Eppure, polemiche ce ne sono state, e molte. L’Arcigay, l’organizzazione per la difesa dei diritti omosessuali in Italia, ha protestato davanti al Senato e ha scritto su Facebook un appello ai giovani del Partito Democratico: «Vi chiediamo di dare un segnale forte al vostro partito, perché la democrazia e l’uguaglianza sono valori che ci uniscono e non ci dividono. Possiamo creare una società lontana dalle ruggini del passato, dai giochi di potere fatti cedendo diritti umani, sulla pelle del popolo, trincerati all’interno delle numerologie e della conquista del miglior bacino elettorale. Possiamo essere uniti nella partecipazione democratica per l’uguaglianza». Perché, spiegano «questa battaglia la stiamo combattendo contro delle persone che affermano dei principi di odio, e con persone che non hanno il coraggio di fare un passo verso la piena uguaglianza. Un coraggio che non è stato dimostrato dai vostri parlamentari, e che con forza vi chiediamo di pretendere».

Polemiche anche nel centrodestra, soprattutto tra Forza Italia e la Lega Nord contro Ncd. Per Paolo Romani, capogruppo al Senato di Forza Italia, si tratta di un «vulnus fortissimo alle regole della democrazia. A fronte di un paese che sulle unioni civili ha discusso in modo sereno, maturo, pacato e forte nelle piazze. Il Senato non ha discusso neanche un minuto. Questo è accaduto per volontà del Pd e l’incapacità della maggioranza di risolvere i propri problemi interni». Gli ha fatto eco l’omologo leghista Gianmarco Centinaio. che ha puntato il dito contro gli alfaniani, definiti «i traditori dei 30 denari: erano presenti al family day a spellarsi le mani e ora per quattro cadreghe in croce si sono svenduti quello che avevano affermato in quei giorni».

Chiara Baldi