Il presidente del consiglio Matteo Renzi l’ha definita “una vittoria netta”. Ma alle elezioni regionali in Emilia-Romagna e Calabria ha vinto prima di tutto l’astensione. Soprattutto nella prima delle due regioni: una roccaforte della sinistra dove sono rimasti a casa oltre sei elettori su dieci. Il livello minimo mai raggiunto in un voto regionale. Il Pd ha perso 322 mila voti rispetto alle regionali 2010. E il dato si è aggiunto alle tante divergenze interne al partito del premier.
Per Gianni Cuperlo il risultato è il segno che il governo non trova il consenso dei ceti popolari. Renzi dovrebbe rivedere la sua posizione verso i sindacati, a partire dalla Fiom e dalle polemiche con il suo segretario Maurizio Landini. “Non funziona l’idea che non debba esserci niente tra governo e popolo”, afferma l’esponente della minoranza Pd.
“Quando il 63 per cento delle persone non va alle urne significa che non si sente rappresentato”, dice proprio Landini dal corteo dei metalmeccanici a Cagliari. Per il sindacalista non ci sono dubbi: gli scioperi e il voto dimostrano chiaramente che voler cancellare i diritti dei lavoratori erode “il consenso delle persone che lavorano, dei giovani e dei precari”. Sulla stessa linea d’onda è Stefano Fassina, altro grande “nemico” di Renzi all’interno del Pd. Che definisce l’astensionismo “un messaggio politico chiaro per il governo da parte del nostro elettorato sulle politiche economiche e su quelle del lavoro”.
Più ottimista è invece Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che invita a non drammatizzare il risultato delle regionali. “È solo un piccolo strappo nell’abitudine democratica, che va ricucito amministrando bene le Regioni e valorizzando il ruolo della politica regionale per la sanità e il trasporto pubblico. Le Regioni ora devono dimostrare di essere all’altezza di un federalismo responsabile”.
Alessia Albertin