La 15a Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità. Fonte: Wikimedia Commons

«Abbiamo tra le mani un pacchetto che credo possa guidarci a collaborare per arrestare e contrastare la perdita di biodiversità»: così il ministro cinese dell’Ambiente, Huang Runqiu, ha presentato l’accordo raggiunto al termine della COP15, la quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità. Il summit, in programma dal 7 al 19 dicembre a Montréal, ha riunito i 196 Paesi firmatari della Convenzione sulla diversità biologica con l’obiettivo di raggiungere un compromesso sulla tutela delle specie e degli ecosistemi. Il nodo più significativo dell’intesa riguarda il cosiddetto “30×30″, ovvero l’impegno a proteggere il 30% della superficie del pianeta entro il 2030: attualmente sono protette solo il 17% delle terre e il 10% delle acque.

Il contenuto dell’accordo – Oltre all’obiettivo sulle aree protette, la bozza del documento finale riconosce i diritti dei popoli indigeni. Il punto controverso del “30×30”, infatti, era il suo possibile impatto sulle popolazioni autoctone, spesso costrette ad abbandonare i loro territori in nome delle politiche di tutela ambientale. Questa volta, invece, il quadro riafferma i diritti delle comunità indigene e garantisce loro voce in capitolo in ogni processo decisionale. Altro tema dibattuto è stato quello dei finanziamenti. L’accordo raggiunto prevede di aumentare i flussi di denaro dai Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo ad almeno 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2025, che diventeranno 30 miliardi entro il 2030. Inoltre, entro il 2030 dovranno essere eliminati o riformati i sussidi che danneggiano la biodiversità per almeno 500 miliardi di dollari all’anno, aumentando al contempo gli incentivi per la tutela della biodiversità e lo sviluppo sostenibile.

Il percorso travagliato di COP15 – La quindicesima Conferenza sulla biodiversità era programmata in origine per il 2020 e doveva tenersi a Kunming, in Cina. Tuttavia, la pandemia e le successive resitrizioni anti-Covid hanno reso necessaria una serie di posticipi, fino alla decisione di suddividere il summit in due fasi, pur mantenendo la presidenza cinese. Durante la prima sessione, svoltasi da remoto nell’ottobre 2021, sono state concordate ventuno proposte da approfondire nella seconda fase. Quest’ultima è stata poi programmata per il 2022 in Canada, a Montréal, dove le parti hanno raggiunto un accordo dopo più di dieci giorni di trattative. Tra i 196 Paesi partecipanti non c’erano però gli Stati Uniti: pur avendo firmato la Convenzione sulla biodiversità, il Senato statunitense non ha mai raggiunto la soglia dei due terzi necessaria per ratificare l’accordo. Gli stessi Stati Uniti hanno invece ratificato altri due trattati, la Convenzione sui cambiamenti climatici e la Convenzione sulla desertificazione, che come quella sulla biodiversità sono state aperte alla firma durante il summit di Rio de Janeiro del 1992.