foto Ashley Marinaccio (Flickr)

foto Ashley Marinaccio (Flickr)

Accendi il computer. Batti quattro tasti e sei connesso. Poi cominci a guardare quella pagina consueta – bordini blu, foto di persone che conosci o forse no – e tutto d’un tratto t’inchiodi davanti a una frase. Non sei d’accordo con quello che scrivono. Anzi, ti fa proprio arrabbiare. Quello là è un cretino, si capisce. E tu lo scrivi: scrivi tutto. Con velocità, furia e un po’ d’isteria.

Il reato di diffamazione a mezzo Internet non è uno scherzo. Ci sono persone che rischiano il rinvio al giudizio per un “like” su Facebook, e Paesi, la Turchia, dove Twitter viene chiuso perché ritenuto «diffamatorio». In Italia, invece, una recente sentenza della Cassazione, pubblicata il 24 marzo scorso a proposito di un post denigratorio su Facebook, ha stabilito che il reato c’è anche se non si scrivono nome e cognome di una persona, basta che questa sia individuabile.

La grande corsa dei tribunali italiani è iniziata e la mano, nei confronti di chi insulta sul web, si è fatta meno morbida. Dolores Valandro, consigliera leghista, è stata condannata a 13 mesi di carcere e a pagare una multa da 13mila euro per aver insultato su Facebook l’allora Ministra dell’integrazione, Cécile Kyenge, scrivendo: «mai nessuno che la stupri». Gli appelli della politica per una regolamentazione di Internet arrivano un mese sì e l’altro pure. Però l’argomento è delicatissimo, e il rischio – censura, negare il diritto della libertà d’espressione – è forte.

Alessandra Moretti, del Partito Democratico, è appena stata a Bruxelles come rappresentante della Camera dei Deputati. Al tavolo sugli obiettivi futuri in materia di giustizia, Moretti ha portato il tema di Internet. «Chiama in causa la libertà di espressione ma anche la diffamazione, l’insulto e il cyberbullismo. Il nostro obiettivo deve essere quello di garantire a tutti il diritto di utilizzare la libertà della rete: e a tutti significa anche a chi oggi invece è costretto a scappare perché riceve insulti e minacce», ha dichiarato Moretti, che sta preparando una proposta di legge sulla protezione dei dati online.

Il reato di diffamazione a mezzo Internet è già disciplinato dall’articolo 595 del codice penale, comma tre, che definisce il reato più grave se «compiuto a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità». Quindi Internet per la legge non è stampa, e non ha una sua specificità giuridica, ma rientra nella più grande categoria di “altro mezzo di pubblicità”. Per questo definire e provare la diffamazione via web rimane ancora molto difficile. Cercacere prove su Internet è complicato: un commento e una pagina si cancellano con un click. Altrettanto complicato definire il tempo e il luogo in cui viene consumato il reato. La sentenza della Cassazione del 2000 ha stabilito che la diffamazione avviene nel momento della «percezione del messaggio da parte di soggetti estranei sia all’agente che alla persona offesa». Allo stesso modo, si considera di competenza dello Stato italiano anche se l’insulto è partito da un server che si trova all’estero, perché comunque la percezione del messaggio è avvenuta in territorio italiano.

La giurisprudenza insomma si sforza di adattare il suo linguaggio – lungo, tortuoso e pieno di subordinate – all’essere veloce e agile che è Internet. Nel frattempo aumenta la consapevolezza della pericolosità del web. Con molti fatti di cronaca che svegliano politici e opinione pubblica.

Per Alessandra Moretti lo shock è arrivato a gennaio, con gli insulti e auguri di morte rivolti a Pierluigi Bersani, appena colpito da emorragia celebrale. Altri shock li raccontano i giornali e li vivono famiglie che si trovano catapultate nel mondo di Internet senza volerlo. Il febbraio scorso una ragazza di 14 anni si è suicidata buttandosi dal decimo piano di un hotel. La polizia postale ha trovato sul suo computer i messaggi di sconosciuti che le dicevano «sei inutile, devi morire». Fatto sta che lei è morta per davvero. I genitori sono rimasti soli e sconvolti: non immaginavano tutto quell’odio. Il sito su cui giravano i messaggi è il social lettone Ask.fm, dove il gioco è fare domande a perfetti sconosciuti e per iscriversi basta avere 13 anni.

«Una certa dose di aggressività nell’uomo è normale e bisogna incanalarla in maniera positiva, nello sport o nello studio», spiega la dottoressa Felicetta Iervolino, psicologa organizzativa che ha lavorato sulle terapie di gruppo per risolvere problemi di mobbing. «Quando si è violenti verso qualcuno lo si disconosce come soggetto, e la rete favorisce questo meccanismo: non vedi il volto dell’altro, e così non riesci a capire le conseguenze delle tue parole», prosegue Iervolino.

La promessa di Internet è tenerti collegato con amici e parenti lontani, collegarti con i fatti che accadono dall’altra parte del mondo. Le potenzialità sarebbero quelle di una rete quasi invincibile. Però poi c’è il lato negativo: la solitudine, l’iper-connettività, il cyberbullismo e la diffamazione. Disciplinare questa rete nei tribunali, e nella società, è cosa ben diversa dalla censura.

Susanna Combusti