Dal 4 marzo, l’emofilia potrebbe fare un po’ meno paura. Secondo un team di esperti internazionali, guidati da Luigi Naldini, direttore dell’Istituto Telethon San Raffaele per la Terapia genica di Milano, la malattia potrebbe essere curata definitivamente sfruttando la genetica. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine. La cura, sperimentata su alcuni cani affetti da emofilia B, consiste nella somministrazione di vettori lentivirali – vettori di trasferimento genetico – che fornirebbero l’informazione genetica corretta alle cellule del paziente.
L’emofilia è una malattia ereditaria emorragica che colpisce prevalentemente gli uomini. A causa di un difetto nei geni che controllano la coagulazione, il malato è soggetto a episodi di forte sanguinamento che possono evolvere anche in emorragie fatali. Esistono due forme di emofilia, una meno seria (emofilia A) e una più grave, caratterizzata dalla totale mancanza del gene di coagulazione (emofilia B). A oggi, l’unico trattamento previsto è la somministrazione del fattore di coagulazione mancante ogni due o tre giorni, per tutta la vita.
La nuova cura in fase di sviluppo al San Raffaele rovescerebbe questo schema. Con la nuova terapia si tratterebbe di introdurre endovena una versione funzionante dei geni, in modo da attivare la normale produzione delle proteine coinvolte nel processo di coagulazione. «Questo lavoro pone le basi per una prossima sperimentazione clinica della terapia genica dell’emofilia B con i vettori lentivirali, ma serviranno ancora alcuni anni di lavoro per garantire efficacia e sicurezza anche nell’uomo», ha commentato Luigi Naldini, coordinatore del progetto.
Secondo la Federazione mondiale dell’emofilia, nel 2012 erano circa 142 mila le persone che soffrivano di emofilia A e circa 28 mila quelle colpite da emofilia B. In Italia ci sono almeno 4.200 malati, di cui 2.000 gravi.
Michela Rovelli