Sono le 19 e da due ore vanno avanti le medicazioni. Prima con aghi sterili sono state fatte scoppiare le bolle per evitare che si ingrandissero, poi decine di garze sono state messe sulle zone senza pelle. È successo qualcosa di grave oggi? No, semplice routine dopo la scuola per Francesco (nome di fantasia per tutelare la sua privacy). Non ha ancora dieci anni, ma fin dalla nascita gli è stata diagnosticata l’epidermolisi bollosa. Dopo il parto non aveva la pelle sulle gambe, mentre nel resto del corpo la perdeva non appena veniva toccato. Fu messo in terapia intensiva e alla diagnosi dermatologica è seguita quella genetica. È affetto da una malattia ereditaria, rara e invalidante. I suoi genitori sono portatori sani e infatti la sua sorellina non ha problemi sull’epidermide.

Coloro che si trovano nelle condizioni di Francesco vengono definiti “bambini farfalla” paragonando la fragilità della loro pelle a quella delle ali di questi insetti dai magnifici colori. «In realtà, questa malattia ha componenti sistemiche e i piccoli hanno bisogno di un supporto a 360 gradi: nutrizionisti, chirurghi della mano, gastroenterologi e fisioterapisti», racconta Cinzia Pilo, presidente dell’associazione Debra che si occupa di assistenza alle famiglie. Questi bambini hanno bisogno di protezioni dove ci sono le lesioni, in particolare su ginocchia, piedi e gomiti. Anche l’abbigliamento è importante, infatti sono indispensabili vestiti adeguati: niente bottoni e cuciture che possano strofinarsi sulla pelle. In caso di sfregamento le bolle si riempiono di siero e bisogna cominciare subito con la medicazione quotidiana, che prima del bagnetto può durare fino a quattro ore. L’infiammazione rende sempre rossa la loro epidermide e ciò non agevola la guarigione delle ferite, vesciche che sembrano ustioni di terzo grado. È difficoltosa anche l’alimentazione perché bocca ed esofago sono delicati, perciò possono mangiare solo cibi morbidi.

Le mani di Francesco sono come due moncherini perché la sua forma di epidermolisi bollosa è quella distrofica, la più grave. Ad altri invece, nella sfortuna, è andata meglio e sono affetti dalla variante “simplex” della malattia: riguarda solo mani e piedi. In totale, in Italia ci sono mille “bambini farfalla” e l’aspettativa di vita non raggiunge i 25 anni. Ad oggi non esiste alcuna cura per loro e negli Stati Uniti la malattia che li affligge è stata definita come “la peggiore di cui si abbia conoscenza”. Un tempo Salisburgo, Londra e Parigi erano le città più all’avanguardia per lo studio di questa malattia, ma ora il capoluogo lombardo non è da meno perché negli ultimi anni sono nati un centro di epidermolisi bollosa al Policlinico di Milano, l’associazione Debra e la fondazione Reb. Cinzia Pilo è presidente anche di quest’ultima e con una nota di speranza sottolinea: «La fondazione è considerata un punto di partenza per la ricerca e gestisce un registro tramite una piattaforma informatica dove sono stati censiti 60 casi tra Milano e Bari».