Il quattro febbraio del 2004 venticinque persone si registrarono ad una sorta di annuario online dell’università di Harward. Oggi, potrebbero essere considerati dei pionieri, visto quel sito si chiamava TheFacebook.com e dopo dieci anni conta 1,23 miliardi di iscritti.
Il social network di Mark Zuckerberg ha cambiato il modo di raccontare e condividere la nostra vita quotidiana. Come diario personale esposto al pubblico o almeno a tutti i nostri “amici”, ha pian piano preso il posto dei primi blog e fatto cadere molti tabù sulla privacy. Ed è arrivato a introdurre nel vocabolario comune termini nati sulle sue pagine virtuali, come “Like” e “Tag”. Funzioni con cui si comunicano gusti e abitudini, ma si alimenta anche il core business dell’azienda: la pubblicità.
Facebook sembra gratis ma non lo è, o almeno non del tutto. Non si paga in euro e nemmeno in dollari, ma cedendo un pezzo della propria privacy a scopi commerciali. Quello che gli utenti pubblicano viene, infatti, utilizzato dalle aziende per creare annunci pubblicitari sempre più personalizzati e quindi efficaci. Un sistema che ha permesso a Facebook di ottenere nel 2013 un fatturato di 7,87 miliardi di dollari (un aumento del 55 per cento rispetto al 2012), e di continuare a investire in prodotti sempre più innovativi.
Proprio in occasione del suo decimo compleanno, Facebook ha lanciato un nuovo progetto: “Paper”. Un “giornale personale”, che propone news e approfondimenti selezionati da fonti autorevoli come il New York Times, ma anche blog emergenti. L’iniziativa ha subito messo in allarme i media tradizionali, cui già Facebook ha finito per togliere visibilità e lettori. L’app è simile al “social magazine” Flipboard, anche se a differenza di questo non consente di scegliere e aggregare le proprie fonti per le notizie. Paper permette invece di pubblicare testi e foto, e averne un’anteprima prima di condividerle. E per ora non prevede pubblicità.
Maria Chiara Furlò