il simbolo del "like" su Facebook

Il simbolo del "like" su Facebook (wired.co.uk)

Mettendo un semplice “mi piace” su Facebook potremmo involontariamente rivelare dati sensibili personali come il nostro credo politico, il nostro orientamento sessuale e il nostro eventuale consumo di droghe. Secondo uno studio fatto da alcuni ricercatori dell’università inglese di Cambridge – su un campione di 58.000 utenti statunitensi del social network più utilizzato al mondo – le informazioni riservate e personali sono tranquillamente ricavabili da quelle di pubblico dominio.

Bastano diversi like ad alcune pagine (non necessariamente pubbliche, spiegano i ricercatori), qualche algoritmo predittivo, una persona in grado di combinare le due cose e il gioco è presto fatto: etnia, sesso, religione e altri particolari più o meno “intimi” di qualsiasi utente possono essere, nella maggior parte dei casi, rapidamente rintracciati.  Più dettagliatamente, gli algoritmi hanno dimostrato un grado di accuratezza dell’88 per cento nel determinare il sesso, del 95 per l’etnia e dell’85 per l’orientamento politico democratico o repubblicano. Nell’82 per cento dei casi hanno predetto correttamente se l’utente fosse cristiano o musulmano e nel 73 per cento se l’utente consumasse droga.

Il dibattito sulla privacy nell’era digitale è tornato così di stretta attualità. Michal Kosinski, uno degli accademici che hanno compiuto lo studio, da un lato ha riconosciuto il risvolto positivo di questo fatto per suggerire e personalizzare le news feed, le notizie che arrivano in tempo reale sulle bacheche degli utenti. Dall’altro, però, ha messo in guardia sul possibile utilizzo di questi dati: “se fossero i governi ad avere accesso a questi dati, non credo che le persone sarebbero contente di sapere che il loro orientamento religioso o sessuale finisca nelle mani sbagliate. Specie in paesi con condizioni non pacifiche e illiberali”.

Federico Thoman