Lo sospettavano tutti, ma ora una ricerca scientifica non lascia spazio a dubbi: è l’essere umano la principale causa del riscaldamento globale e, quindi, dello scioglimento dei ghiacciai.
In tutto il mondo nel corso dell’ultimo secolo i ghiacciai hanno subìto una rapida ritirata, fino a raggiungere in molti casi una riduzione di oltre due chilometri, e non per volontà di Madre Natura.

Il ghiacciaio Hintereisferner, in Austria, uno dei ghiacciai osservati nello studio dell’Università di Washington
Il magazine scientifico Nature Geoscience ha pubblicato uno studio dei ricercatori dell’Università di Washington, in cui è stato utilizzato un nuovo metodo statistico per analizzare la modifica dell’estensione di 37 ghiacciai montani in tutto il mondo a partire da fine ‘800. La ricerca ha dimostrato che c’è il 99% di probabilità che la causa del ritiro derivi dall’antropizzazione.
Questo studio ha messo in discussione le conclusioni espresse nell’ultimo rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), che aveva attribuito “probabilmente” all’uomo soltanto una parte sostanziale dei mutamenti climatici.

La documentazione della lunghezza dei ghiacciai nel tempo, pubblicata sulla rivista Nature Geoscience
Il fatto che lo studio provenga proprio dall’Università di Washington assume un significato tutto particolare, considerata la decisione molto contestata del neopresidente americano Donald Trump di affidare la guida dell’EPA (Environmental Protection Agency) al procuratore generale dell’Oklaoma Scott Pruitt, celebre “negazionista” del surriscaldamento globale e amico dei petrolieri.
Già in passato, il tycoon aveva pubblicamente negato l’esistenza del global warming e la sua connessione con le attività industriali dell’uomo sul pianeta, e nemmeno i colloqui con Leonadro DiCaprio e Al Gore (due dei maggiori protagonisti della lotta per l’ambiente nel panorama americano) gli hanno fatto cambiare rotta.
Una rotta molto diversa da quella seguita dal suo predecessore Barack Obama, che aveva dato all’ambiente una posizione prioritaria, con il Clean Power Plan, il Clean Air Act e l’accordo sul clima di Parigi del 2015 che impegnava i 195 Stati firmatari a mantenere l’aumento di temperatura inferiore a 2 gradi e a smettere di incentivare le emissioni di gas serra.
Pruitt pare sia intenzionato a smantellare diversi provvedimenti di Obama a tutela dell’ambiente, e ha addirittura manifestato l’idea di ratificare l’accordo sul clima di Parigi. Posizioni rischiose, soprattutto considerata l’urgenza di adottare politiche che frenino, o almeno rallentino, il rapido aumento di problematiche ambientali legate a doppio filo con le attività industriali.
La drammatica panoramica dei danni all’ambiente derivati dal cambiamento climatico dovrebbe, come ha già fatto in passato, smuovere le coscienze dei leader mondiali, in particolare di quelli alla guida di Paesi come Usa e Cina, i principali paesi che producono anidride carbonica.