socialRipensare i social come strumento di marketing di se stessi. Un loro aspetto sempre troppo sottovalutato e evidenziato dal professor Andrea Albanese, docente SNID (Social Network Influence Design) del Politecnico di Milano, che nella mattina del 6 febbraio ha tenuto presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università meneghina la lezione “Social media e digital: nuove figure professionali in Europa”, organizzata dal Centro di Documentazione Europea dell’Ateneo in collaborazione con Social Marketing Day. Insomma, va bene pubblicare le foto dei gattini, qualche immagine di se stessi al mare, ma teniamo bene a mente che quello che pubblichiamo ogni giorno su Facebook, Twitter e Instagram compone una sorta di curriculum alternativo.

Nel mondo di oggi, i social media sono utilizzati in dose massiccia, tant’è che sono diventati la prima attività di Internet. Ma raramente queste piattaforme sono utilizzate come strumenti per la comunicazione lavorativa. E invece possono farlo, se pensiamo di sviluppare il nostro brand tramite loro. Facebook, ad esempio, può raccontare la nostra vita, ma può essere anche una potente risorsa per fare campagne pubblicitarie o per ingaggiare nuova utenza.

Per questo, bisogna trovarsi preparati e dimostrare alle aziende la propria abilità con questi strumenti. Ma non solo. Negli Stati Uniti, nei colloqui di lavoro prende sempre più piede questa prassi: il selezionatore chiede al candidato di aprire la propria pagina Facebook. È ovvio che una persona verrà giudicata tanto più affidabile se non appare in circostanze poco eleganti.

Attenzione, però: guai a mentire. Sui social bisogna essere veri, bisogna comunicare quello che si è realmente. Solo così si potrà sviluppare, qualunque sia l’interlocutore, una relazione vera, alla cui base sta un concetto di fiducia.

Ora, sviluppare un nostro brand è molto semplice. Bisogna partire dal postulato che la base della comunicazione è far fare un clic. Magari con un video, l’autentica chiave della comunicazione nell’era social e online. Leggere comporta più fatica, l’impatto visivo è più diretto e immediato. Anche per questo, ogni singolo utente sui social è più di una persona, con i suoi pensieri e le sue sensazioni. Si può dire che ogni singolo è un’agenzia di comunicazione, un editore digitale, persino un giornalista. Effettivamente, se pensiamo a 4-5 anni fa, era impensabile che una persona potesse raccontare e fare notizia senza passare dalla stampa. Oggi le notizie le fanno tutti e chi fa il giornalista di professione deve intendere questo fenomeno come una risorsa preziosa, visto che le informazioni sono più accessibili e viaggiano più rapidamente.

C’è, infine, una questione da non sottovalutare. Nell’immaginario collettivo, l’Italia, dal punto di vista dell’innovazione (tra cui quella digitale), sembra andare a rilento. Invece, sottolinea il professor Albanese, il nostro Paese ha una vitalità tutta sua e mai pienamente riconosciuta. Come dimostra il progetto della Regione Lombardia, che ha spinto gli agricoltori ad affacciarsi nel mondo dei social per far crescere le proprie aziende. Del resto, su Twitter, oltre il 50% dei cinguettii consiste in messaggi pubblicitari. Niente di rivoluzionario, l’intento della Regione era insegnare ai non nativi digitali come aprire un account Facebook, Twitter o Youtube. La risposta è stata ampiamente positiva, a dimostrazione di come i social abbiano colto nel segno. Ovunque.

Francesco Paolo Giordano