Social Media Week di Milano. Cartellone all'ingresso di Palazzo Reale.

Social Media Week di Milano. Cartellone all’ingresso di Palazzo Reale.

Può sembrare strano, ma anche i numeri possono essere “sexy”. Specialmente se raccontano, ormai, tutto di noi. Ecco perché, analizzare i “big data” è stato definito come il lavoro più sexy del mondo. Il 24 febbraio, in occasione della Social Media Week di Milano, tre esperti del settore come Paolo Ciuccarelli, Mariano Tredicini e  Salvatore Ruggieri hanno spiegato come sfruttare l’enorme mole di informazioni generata dalla Rete, fra nuove frontiere e le difficoltà di un settore in crescita.

I big data possono essere davvero “un nuovo petrolio”. Una fonte di ricchezza sul piano teorico e pratico. A dirlo è Paolo Ciuccarelli, Professore associato del Politecnico di Milano. Che ha spiegato l’importanza del “sense making”, di dare cioè un significato ai numeri e spiegarli con interfacce visuali. “Si guarda ancora molto all’analisi e troppo poco alla narrazione”, ha ribadito il designer. E, per risolvere il problema, ha proposto quattro soluzioni: raccontare i dati secondo la linea guida del tempo, accompagnare i grafici con parole chiave, raccontare i comportamenti all’interno della rete e dare forme facili da capire alle rappresentazioni.

I “big data” sono anche uno strumento che aiuta le aziende a crescere sui social. Ne è un esempio il caso di Telecom Italia. Come ha spiegato Mariano Tredicini, responsabile della web analysis dell’azienda, “i dati ci raccontano la percezione che i consumatori hanno di Tim sui social, così che noi possiamo intervenire in tempo diretto su quello che non va”. Grazie ai “big data” dunque, niente più piani editoriali programmati in anticipo, ma uno studio continuo che ha cambiato molto il ruolo dei media analyst. “Abbiamo imparato un’altra professione, siamo passati dall’essere semplici strateghi della comunicazione all’ essere analisti di immense matrici di dati”, ha spiegato Tredicini.

E l’analisi dei dati mappa anche tutti i nostri spostamenti sia fuori che dentro la Rete. “Siamo dei Pollicino digitali”, ha spiegato Salvatore Ruggieri, docente di analisi all’Università di Pisa. I “big data” ci dicono quante volte passiamo da un casello autostradale, quanti aerei prendiamo, e per dove. Si possono perfino vedere quanti twitt vengono lanciati in una precisa occasione, come quella del capodanno di Parigi 2009, quartiere per quartiere, ed è solo un esempio. “Le possibilità sono infinite”, ha ricordato Ruggieri. Quello di cui c’è sempre più bisogno ora è uno studio attento che sappia coniugare l’analisi al racconto. Lo stanno già facendo tutti quei giornalisti che usano le infografiche nei loro pezzi o quei ricercatori e statistici che si avvicinano al mondo dei media. La strada è ancora lunga ma l’elemento sexy dei “big data” sta anche in questo, nel non conoscere ancora tutto di loro.

Federica Villa