dna

Combattere il cancro “tagliando e ricucendo” il Dna dello stesso paziente. Lo scorso 28 ottobre, in Cina, un gruppo di oncologi della Sichuan University di Chengdu guidato da Lu You è diventato il primo al mondo a utilizzare la tecnica chiamata Crispr-Cas9 su un uomo malato di tumore ai polmoni in fase avanzata, con poche speranze di guarigione e metastasi in tutto il corpo. L’intervento tentato dai medici cinesi potrebbe condurre a una notevole svolta nel percorso di ricerca e cura. Al momento, tuttavia, l’obiettivo è solo quello di verificare la sicurezza della terapia. Le infusioni di cellule modificate sono numerose e presto verranno eseguite su altre 10 persone.

LA TECNICA – Scoperta in Francia e negli Stati Uniti studiando i batteri dello yogurt, la Crispr-Cas9 permette di tagliare il Dna in alcuni punti prestabiliti per modificare e riscrivere le sequenze genetiche. Per prima cosa al paziente vengono prelevati globuli bianchi del sistema immunitario, da questi si elimina un gene chiamato PD-1 che funge da freno neutralizzando le capacità di aggredire e distruggere le cellule tumorali.  Dopo una moltiplicazione in laboratorio, i leucociti vengono iniettati di nuovo nel malato, con la possibilità che possano attaccare il tumore con maggiore efficacia. Ad agosto la novità si è conquistata la copertina del National Geographic e il giornalista scientifico Michael Specter ha scritto: «Questa tecnica consegna all’uomo un potere del tutto nuovo. Per la prima volta gli scienziati possono modificare, cancellare e riorganizzare in modo preciso il Dna di quasi tutti gli organismi viventi, inclusi gli esseri umani».

I DUBBI ETICI – L’intervento, inizialmente programmato per agosto, è stato realizzato dopo due mesi per la difficoltà a far moltiplicare le cellule modificate in laboratorio. E solo a luglio è arrivato il via libera del comitato etico dell’università della quarta città più popolosa della Cina: la tecnica Crispr, infatti, è già stata criticata per la manipolazione di embrioni umani avvenuta nel 2015. Allora la rivista Nature accolse lo studio con scetticismo, adesso è stata la prima a raccontarlo. Anche i costi non sono da sottovalutare: difficile che tutti i malati di tumore del mondo se la possano permettere.

LE REAZIONI – «È una strategia eccitante, la logica è quella corretta», ha detto Antonio Russo dell’Università di Palermo. «È incredibile che la tecnologia sia in grado di fare queste cose», ha proseguito Naiyer Rizvi della Columbia University Medical Center di New York. Ma ha anche aggiunto che il processo di modificazione delle cellule è «un impegno enorme» giustificabile in futuro solo in caso di «straordinaria efficacia». Intanto dal 2017 anche gli Stati Uniti inizieranno a lavorare con questa tecnica: l’University of Pennsylvania di Philadelphia, con Carl June in prima fila, darà il via al filone occidentale della ricerca. Con una competizione tra Cina e Usa già ribattezzata «Sputnik 2.0» (come la lotta per conquistare lo spazio tra Usa e Urss nella seconda metà del Novecento) che potrebbe anche accelerare gli esiti positivi.