Fake newsss

«Obama sta pianificando un colpo di stato comunista!». No, non è l’ultimo tweet di Donald Trump, ma il primo risultato di Google se si digita nella barra di ricerca «Obama sta progettando un golpe». Colpa del meccanismo dei featured snippet, le risposte veloci di Google alle domande degli utenti. Uno strumento accusato di favorire la diffusione di notizie false, con l’aggravante di aggiungere quell’autorevolezza che deriva dall’essere il primo risultato suggerito da Big G.

obcom

L’ho trovato su Google. featured snippet esistono dal 2014 e si basano su un algoritmo che seleziona i risultati di qualsiasi ricerca in base alla popolarità dei siti che trattano l’argomento. Così, se si cerca su Google “scoperta dell’America“, in alto apparirà un box che rimanda a un sito di appunti per studenti (www.studenti.it) e a una citazione dello scrittore Jonathan Swift. Non certo la fonte più autorevole, ma all’algoritmo interessa solo il numero di click e, evidentemente, il ripasso dell’ultima ora degli studenti italiani ha reso studenti.it il più popolare fra i siti che raccontano la spedizione di Cristoforo Colombo. Bisogna dire che, nella maggior parte dei casi, i suggerimenti di Google sono accurati e forniscono in tempi brevi informazioni precise e sintetiche, senza dover nemmeno aprire un link (così, ad esempio, per “anno spedizione dei mille” o “sbarco sulla luna“). Il rischio, però, è che sull’altare della velocità vengano sacrificate la verifica e l’attendibilità delle notizie: l’algoritmo, infatti, seleziona in base a un criterio meramente quantitativo – il numero di click – e non qualitativo – l’autorevolezza della fonte.

Bolle complottiste. Il vero problema, però, secondo un’inchiesta dell’online magazine Outline, sorge quando la ricerca riguarda tesi complottiste ed è tendenziosa. È qui che il meccanismo automatico di selezione dei risultati dimostra tutto il suo potenziale di disinformazione. Digitando “Obama sta pensando alla legge marziale”, il suggerimento nel box è newstarget.com, un sito di fake news che in un articolo del maggio 2016 accusava l’ex-presidente di voler proclamare la legge marziale «per alimentare il panico e il caos negli Stati Uniti». Se si cercano i presidenti americani membri del Ku Klux Klan, ecco apparire una lista di cinque nomi, molti dei quali non hanno mai avuto nulla a che fare con il suprematismo bianco. E, a ben guardare, la fonte è un sedicente quotidiano online nigeriano che, a sua volta, cita informazioni prese dal sito del Kkk e le ricostruzioni di uno pseudo-storico nazionalista cristiano, David Barton. In questo modo, Google gonfia la bolla complottista in cui sono intrappolati alcuni utenti che diffidano delle cosiddette “verità ufficiali”. E finisce per dare autorevolezza a teorie cospirazioniste create ad arte da siti che della disinformazione “appetitosa” hanno fatto un business.
Rispondendo alle critiche dell’Outline, un portavoce di Google ha detto che «i contenuti fuorvianti sono stati prontamente rimossi, in linea con il regolamento dell’azienda in materia». Ma, secondo i critici, questi rimedi non bastano: servirebbero teste pensanti a controllare il funzionamento degli algoritmi di Big G.

La voce della disinformazione. Per quanto pericolosi, i fake snippet restano comunque inseriti nel contesto di una lista di risultati di ricerca, per la maggior parte affidabili. Chiunque ha così a disposizione strumenti di debunking, può cioè smontare le bufale. Nell’ottobre 2016, però, Mountain View ha lanciato Google Home, un assistente personale in grado di rispondere vocalmente alle domande dell’utente. In questo caso, l’algoritmo seleziona un’unica risposta, quella “giusta”, ossia quella più cliccata. Vox populi, vox dei, verrebbe da dire. La voce del “popolo del web” potrebbe diventare la voce di Google, anche quando a ispirare Big G sono le più inverosimili teorie del complotto.