La paura non è un sentimento immediato, fa parte della nostra “memoria” e si può controllare. Uno studio condotto dalla fondazione scientifica Ikerbasque, coordinata dal Professor Mazahir T. Hasan e a cui hanno partecipato diversi Paesi europei, tra cui l’Italia con il Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (NICO) di Torino, ha scoperto una “fabbrica dei ricordi” della paura che si trova nell’ipotalamo. Fino a oggi si pensava che la sede della memoria si trovasse nell’ippocampo, mentre grazie a una analisi genetica è stato possibile rintracciare gli engrammi (cioè le rappresentazioni della memoria emotiva immagazzinate nel cervello) anche nell’ipotalamo, zona del cervello che svolge una funzione di controllo sul sistema nervoso autonomo e sul sistema endocrino. L’ipotalamo è una struttura del cervello “primitiva” che perciò veniva esclusa dall’ipotesi di “luogo” in cui si immagazzinassero i ricordi, opinione diffusa della scienza è infatti che i ricordi si trovino in strutture superiori del cervello.

Una svolta – La ricerca, pubblicata sulla rivista Neuron, rappresenta una svolta per il mondo delle neuroscienze poiché modifica il dogma tradizionale che vede l’ippocampo come unico ambiente interessato all’immagazzinamento della memoria, aprendo così nuove prospettive di ricerca per altre zone del cervello che potrebbero essere state sottovalutate precedentemente. Individuata la presenza di engrammi nell’ipotalamo, i ricercatori hanno potuto evidenziare e selezionare i neuroni ipotalamici che producono ossitocina (ormone peptidico che viene stimolato durante diverse emozioni e che comunemente viene chiamato “ormone dell’amore”). Questi, una volta marcati, sono stati in grado di produrre una proteina in grado di attivare una attività neuronale se stimolata con la luce, o di reprimersi se innescata con sostanze chimiche.

Il test – La metodologia genetica dello studio, condotto su roditori, ha permesso di manipolare i neuroni ipotalamici notando così una modifica del comportamento degli animali. I roditori, una volta esposti a una situazione che associavano correttamente a una memoria negativa (paurosa) si “freezavano” cioè si immobilizzavano. Per intenderci, si tratta della sensazione che ci blocca nei momenti in cui abbiamo paura, per esempio quando si attraversa la strada e si vede un veicolo arrivare a forte velocità. Nel momento in cui gli animali erano “congelati” dalla paura i ricercatori attivavano i neuroni a ossitocina individuati in precedenza, inducendo così gli animali a continuare l’esplorazione dell’ambiente libertà. Una volta interrotta la stimolazione dei neuroni, l’immobilità riprendeva.

I risvolti – Riuscire a regolare un sentimento come la paura potrebbe essere un grande vantaggio per l’essere umano, ma solo in certi casi. La paura infatti non ha solamente risvolti negativi ma è un’importante risorsa per la sopravvivenza. Quando un uomo è spaventato può sentirsi debole, piccolo e impotente ma allo stesso modo può riuscire a contenere i rischi della situazione a cui è esposto. La paura può infatti essere anche un meccanismo difensivo della nostra psiche e allarmarci in situazioni difficili. Se però questo meccanismo si attiva troppo spesso, come accade nella società moderna, può sfociare in disturbi come l’ansia generalizzata o, in casi più gravi, nel disturbo da stress post traumatico. In termini terapeutici, questa scoperta potrebbe portare a delle soluzioni per queste patologie.