Twitter come piattaforma privilegiata dell’Isis e per questo corresponsabile della sua follia omicida. È questa l’accusa mossa al social network e depositata in un tribunale di New York l’8 gennaio scorso dalle famiglie di tre americani morti negli attacchi di Francia e Belgio e rivendicati dallo Stato Islamico. Si tratta dei parenti di Alexander e Sascha Pinczowski, fratello e sorella newyorkesi uccisi all’aeroporto di Bruxelles lo scorso marzo, e di Nohemi Gonzalez, una giovane californiana fra le vittime del Bataclan di Parigi. A essere sotto accusa è la presunta incapacità del servizio di microblogging di tenere lontano dalla sua piattaforma i messaggi della propaganda jihadista.

Nel testo della citazione in giudizio si sostiene che «Twitter abbia giocato un ruolo unico ed essenziale nello sviluppo dell’immagine dell’Isis, nel suo successo nel reclutare membri in tutto il mondo e nella sua abilità di portare avanti attentati e intimidire i suoi nemici». Per questa “passività” del social network di fronte al diffondersi di messaggi e profili legati al proselitismo terroristico, Twitter sarebbe corresponsabile dell’agire del Califfato. Il legali delle famiglie chiedono un risarcimento da definire nel corso del processo, ma che possa essere esemplare affinché in futuro chi gestisce i social network applichi criteri più severi nell’utilizzo delle piattaforme da parte degli utenti. Per il momento, dalla società di Jack Dorsey non è arrivato alcun commento.

Ma non è la prima volta che alcuni famigliari di vittime del terrorismo fanno causa a un social per queste stesse motivazioni. Lo scorso dicembre Twitter è stata querelata, insieme a Facebook, dai parenti delle vittime dell’attentato di Orlando, in California, del giugno 2016 per presunto sostegno allo jihadismo. Un’altra accusa che viene mossa al social network è di sospendere o chiudere i profili degli utenti sospetti di fare propaganda terroristica solo quando vengono segnalati da altre persone. L’azienda negli scorsi mesi si è difesa affermando come da metà 2015 siano stati circa 350 mila i profili sospesi perché sospettati di essere legati all’Isis.