«È gratis e lo sarà sempre». È questa la frase-manifesto che leggiamo ogni volta che entriamo sulla homepage di Facebook. «In realtà il prezzo che paghiamo è altissimo; le aziende che gestiscono piattaforme come Facebook dovrebbero pagarci per la quantità enorme di dati che consegniamo». A dirlo è Evgenij Morozov, sociologo e giornalista bielorusso esperto di nuovi media. A 33 anni è una delle voci più ascoltate in tema di cyberspazio e di rapporto fra democrazia e digitale: «I dati sono il nuovo petrolio: fino a una decina di anni fa i giganti della Silicon Valley li raccoglievano soprattutto per migliorare la targetizzazione dell’advertising. Ora le principali attività dei colossi digitali, sia negli Stati Uniti sia in Cina – gli unici due Paesi che hanno davvero assunto il controllo di questo settore – ruotano attorno al cosiddetto “estrattivismo dei dati”, ossia raccogliere e rielaborare la maggior quantità possibile di dati – spiega – E per fare ciò le tech companies stanno concentrando i loro sforzi sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Per loro è chiaro che più dati hai più potente sei».

Too big to fail – Le sette sorelle non sono più le compagnie che controllano il mercato del petrolio. Oggi le sette sorelle sono Apple, Google, Microsoft, Amazon, Facebook, Tencent e Alibaba, i nuovi padroni dell’economia globale. Messe assieme valgono oltre 4mila miliardi di dollari. «Una così grande concentrazione di risorse nelle mani di poche aziende costituisce un problema, senza contare che un simile oligopolio annienta la concorrenza», aggiunge Morozov. Un nodo cruciale, secondo il giornalista, è poi il diritto alla privacy degli utenti: «Un tema che diventa di vitale importanza anche considerando l’avvento del cosiddetto internet of things, ossia un’ecosistema in cui vari dispositivi elettronici (televisioni, elettrodomestici, laptop, smartphone ecc.) comunicano fra di loro e si scambiano informazioni. Occorre disciplinare l’accesso ai dati, fare in modo che non siano proprietà esclusiva dei giganti digitali. Noi cittadini dovremmo acquisire maggiore consapevolezza di come e con quali finalità vengono trattati i nostri dati, ma troppo spesso per pigrizia deleghiamo responsabilità a queste aziende».

 

Dov’è la politica? – «Più che limitare lo strapotere delle tech companies, i governi si mostrano accondiscendenti nei loro confronti. I capi di governo sono ben lieti di invitarle ad investire nei propri Paesi – prosegue Morozov – cercano di stipulare alleanze con questi player privati nei campi della cybersecurity, dell’efficienza energetica, dell’assistenza sanitaria e della lotta alle fake news, ma spesso tralasciano di affrontare il tema dei diritti per gli utenti-cittadini». In Cina, come emerge da un’inchiesta del Wall Street Journal, Tencent e Alibaba non si oppongono nel fornire una mole gigantesca di dati al governo, che li utilizza a scopi di sorveglianza di massa e repressione del dissenso. Ma anche in Occidente lo scenario appare alquanto cupo: la distopia di una commodification della democrazia, della “libertà come servizio” sembra farsi sempre più concreta. «Io non sono avverso alla tecnologia; non sono ottimista né pessimista, sono semplicemente realista. Sono pessimista invece sull’abilità della classe politica nel riconoscere la situazione e nell’agire in base ai mutamenti socio-economici in atto», conclude Morozov.