Fernando Gomes da Silva

(di Irene Panzeri e Pierluigi Mandoi)

«I primi modellini li facevo con le scatole di cartone e il motorino di un rasoio elettrico. Ogni volta che c’era una perquisizione in cella me li distruggevano, avevano paura che ci nascondessi qualcosa dentro. Ma ogni volta che poi li rifacevo, venivano un pochino meglio». Era il 2012 e Fernando Gomes da Silva era detenuto nel carcere di Sollicciano, a Firenze, davanti a lui 18 anni di pena da scontare. Da allora sono passati dieci anni, da Silva non è più detenuto e l’oggetto di quei suoi primi prototipi, un cassonetto intelligente che permette di ricavare un vantaggio economico dal corretto smaltimento dei rifiuti, è realtà.  Prima della fine della primavera sarà installato nel condominio di via Solari 40 a Milano.

Lo smart dumpster Si tratta di un grosso cassonetto con quattro grandi scompartimenti, uno per ogni tipologia di rifiuti da riciclare, collegato a un computer e dotato di un lettore di smart card. Le 12 famiglie coinvolte nel progetto, che Gomes ha deciso di chiamare Riselda in onore della madre («mi ha insegnato il valore dell’ambiente», spiega), avranno una card personale che inseriranno nell’apparecchio ogni volta che dovranno buttare qualcosa. Il computer chiederà di che tipo di rifiuti si tratta e, una volta selezionata la tipologia, aprirà lo sportello del cassonetto. Dopo aver lasciato il sacchetto, un sistema motorizzato lo sposterà verso il compartimento corrispondente. A ogni famiglia sarà associato un codice a barre e un database traccerà quantità e tipologie di rifiuti immessi. Coloro che si dimostreranno più virtuosi riciclando di più e producendo il minor numero di rifiuti indifferenziati potranno usufruire di premi particolari, come sconti in alcuni negozi di quartiere convenzionati.

Lo schermo del cassonetto intelligente (foto/Pierluigi Mandoi)

Ultimi ritocchi – In questi giorni Gomes, 44enne ex elettricista di San Paolo in Brasile, sta lavorando quotidianamente per dare gli ultimi ritocchi alla macchina e recuperare il tempo perso a causa della pandemia e della crisi dei semiconduttori, che ha fatto ritardare l’arrivo dei pezzi più delicati. Il prototipo è oggi ospitato da padre Vincenzo Molinaro nei locali della parrocchia del Murialdo nel Giambellino, ma quando raggiungerà la sua destinazione per Gomes sarà la chiusura di un cerchio. E di una storia in cui, per arrivare a questo punto, alla forza di volontà del protagonista si è sommato il contributo di tantissime persone, aziende e enti.

Il brevetto – A partire da quello che il 44enne definisce oggi come un fratello, l’ingegner Francesco Pomicino di Firenze. «Era un volontario di Pantagruel, un’associazione per i diritti dei detenuti. Una volta che è venuto a trovarmi, si è incuriosito per i modellini che avevo costruito, e quando mi ha detto che era un ingegnere, non ho aspettato nemmeno un secondo prima di chiedergli di aiutarmi a costruire il cassonetto». Pomicino non si è limitato a farlo, ma ha anche aiutato Gomes a mettersi in contatto con l’Università Federico II di Napoli, dove il progetto Riselda è stato oggetto della tesi di laurea di tre studenti di ingegneria. Le parti meccaniche dello smart dumpster sono state costruite nel dipartimento dell’ateneo. Poi, dopo il primo finanziamento di 12mila euro dall’azienda Publiambiente Toscana, il cassonetto Riselda è stato ufficialmente brevettato.

Dove sperimentarlo? – «A questo punto, però, restava un problema», racconta Gomes: «alla pratica, bisognava sommare la teoria: raccogliere i dati su quanta spazzatura si produce e capire se, in presenza di un incentivo, le persone siano più interessate a differenziare i rifiuti». Per l’istituto di Sollicciano, spiega il 44enne, questa indagine sarebbe stato troppo complessa. Il suo amico ha allora chiesto consiglio a Lucia Castellano, ex direttrice del carcere di Bollate. L’obiettivo: fare in modo che Gomes venisse trasferito nell’istituto milanese. «C’era chi era dentro da 20 anni e mi diceva: “Non provarci nemmeno, tanto il trasferimento è quasi impossibile”», ricorda Gomes. Ma solo tre mesi dopo è arrivata la buona notizia: a Bollate il progetto Riselda era piaciuto e sarebbe stato quello il luogo della fase successiva della sperimentazione.

75% di riciclo – Con l’aiuto del direttore Massimo Parisi, l’ex elettricista è riuscito a radunare una squadra di una quindicina di persone. Il primo compito è stato quello di monitorare la produzione totale dei rifiuti in un anno all’interno dell’istituto penitenziario, come racconta Gomes: «Il Dap (dipartimento di amministrazione penitenziaria) non aveva i dati. Ogni giorno quindi andavamo con una piccola bilancia in 100 celle e segnavamo tutto quanto. Abbiamo scoperto che, se fuori dal carcere si producono circa 35 chili di rifiuti al mese, dentro invece sono 27». La sua equipe si chiamava “Keep the planet clean” e aveva come simbolo un omino calato fino alla vita in un bidone, da cui sporgono solo le gambe. Il motto: «Recuperiamo talenti cominciando dai rifiuti». L’istituto è poi riuscito a contattare Amsa, la società milanese di servizi ambientali, per farsi donare i bidoncini da mettere nelle celle, mentre l’azienda chimica Novamont ha offerto i sacchetti per l’umido. Tutto era pronto per dimostrare la tesi di Gomes, occorreva solo offrire un incentivo a differenziare. Dopo aver consultato gli altri detenuti e la direzione, è arrivata la soluzione: «Chi si fosse comportato meglio avrebbe avuto un’ora in più di colloquio con i familiari a settimana, e dieci minuti in più al telefono». Pochi mesi dopo, la percentuale di rifiuti riciclati nel carcere di Bollate era passata da zero al 75%. E alla squadra di Gomes è arrivato l’encomio ufficiale da parte del direttore.

Una riunione degli inquilini di via Solari 40 coinvolti nella sperimentazione (foto/Pierluigi Mandoi)

Associazione “Quintal” – Da quando Gomes è uscito dal carcere, il progetto Riselda si è arricchito con la costituzione dell’associazione Quintal (“cortile” in portoghese) e la costruzione di una community sempre più ampia. I primi negozi stanno iniziando ad aderire all’iniziativa e presto si vedranno sulle vetrine del Giambellino gli sticker «Qui paghi con i rifiuti», mentre le famiglie di via Solari 40 (condominio prescelto per il progetto in quanto vincitore del bando “Scuola dei quartieri”) non vedono l’ora che il nuovo cassonetto arrivi. «Sono tutti entusiasti di provarlo, da chi è attratto dall’aspetto tecnologico a chi invece è più sensibile verso l’ambiente», spiega Stefania Capuzzi, community manager di Riselda. Gli incontri bisettimanali dei partecipanti sono anche un modo per conoscersi e creare socialità: «Una signora ogni settimana “scommette” con il marito su dove buttare i rifiuti e a ogni incontro si divertono a capire chi dei due ha vinto», racconta. I prossimi passi saranno la costruzione di un nuovo prototipo, più leggero e compatto, e l’espansione delle convenzioni con i commercianti, con lo scopo di attirare la grande distribuzione. Ma Capuzzi sogna già in grande: «Tra cinque anni mi aspetto di vedere Riselda in tutta Milano, con partnership di rilievo per impattare sempre di più sull’ambiente».