Si è conclusa nel Golfo del Messico, all’alba del 3 maggio, la prima missione spaziale organizzata da un’industria privata, che è stata anche la più lunga mai organizzata dagli Stati Uniti. Quattro astronauti, tre americani e un giapponese, sono stati nello spazio oltre 160 giorni (il record precedente di 84 giorni era stato stabilito dall’equipaggio della stazione Skylab nel 1974) prima di lasciare la Stazione Spaziale Internazionale (Iss) a bordo della capsula SpaceX Crew Dragon. Erano stati lanciati in orbita lo scorso novembre per la prima missione “operativa” dell’azienda aerospaziale fondata dal miliardario visionario Elon Musk.

Le operazioni – La capsula Crew Dragon di SpaceX, con a bordo gli americani Michael Hopkins, Victor Glover e Shannon Walker e il giapponese Soichi Noguchi, ha lasciato la Stazione Spaziale Internazionale all’ora prevista (20:35 orario della costa orientale degli Stati Uniti, le 2:35 in Italia), e in circa sei ore e mezza ha ammarato al largo delle coste della Florida, sostenuta da quattro paracadute. La navicella spaziale, chiamata Resilience, ha riportato sulla Terra anche il risultato dei vari esperimenti condotti a bordo dell’Iss: un carico di 250 kg di materiale conservato nella sezione pressurizzata, in armadietti di sicurezza refrigerati. Il ritorno è stato trasmesso in diretta dalla Nasa, l’ente spaziale americano che ha comunque collaborato all’impresa. Sul posto si sono recate numerose barche per recuperare navicella ed equipaggio che è stato subito sottoposto ai controlli medici di rito.

Lo splashdown – L’ammaraggio notturno in acqua non accadeva dal 1975, con il ritorno nel Pacifico dell’Apollo nell’ambito della missione Apollo-Soyuz, impresa congiunta tra gli Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica. In realtà la Nasa era tornata agli sbarchi in acqua già nell’agosto del 2020, quando altri due americani avevano già viaggiato su Dragon, ma si trattava di una missione di prova di appena due mesi. I veicoli spaziali possono tornare in sicurezza dall’orbita tanto sull’acqua che sulla terra. Un atterraggio in acqua presente qualche difficoltà in più. Douglas Hurley, un membro dell’equipaggio precedente che ha completato un ammaraggio nella capsula SpaceX, ha detto di aver letto i rapporti degli astronauti delle missioni precedenti conclusesi allo stesso modo. «Ci sono state alcune sfide post-splashdown: gli astronauti non si sentivano bene, lamentavano sintomi di vomito e occhi rossi». Per scongiurare la presenza di barche private nei dintorni, la Guardia Costiera ha istituito una zona di sicurezza di 11,5 miglia attorno al sito di splashdown.

La sfida alla Russia – Il ruolo strategico di Space X, l’azienda privata fondata da Elon Musk, ha restituito prestigio agli Stati Uniti, tornati a portare nuovamente uomini nello spazio dall’epoca dello Space Shuttle. Un traguardo che ha messo in discussione i rapporti spaziali tra Russia e Usa e decretato la fine del monopolio russo. Crew Dragon è ufficialmente il secondo mezzo in grado di raggiungere la Iss oltre alla Soyuz russa. Il successo della missione segna un nuovo punto a favore di Musk nella sfida con Jeff Bezos, fondatore di Amazon, per ritagliarsi un ruolo da leader nella corsa allo spazio. Dopo anni di attesa e tentativi falliti, ora le capsule Crew Dragon potrebbero essere pronte per iniziare a fare viaggi regolari da e verso la stazione spaziale. A breve la compagnia potrebbe ragionare sull’eventualità di spedire in orbita turisti o comunque persone diverse dagli astronauti. Una svolta che, dovesse realizzarsi, segnerebbe un’epoca.