Un’altra automobile killer contro la polizia a Parigi. E, per la prima volta, un furgone lanciato contro i fedeli musulmani a Londra. Mentre lo “scontro di civiltà” tra l’occidente e il mondo islamico si radicalizza, i colossi del web provano a combattere la propaganda d’odio che in molti casi alimenta il terrorismo su Internet. E per questo YouTube ha inaugurato un filtro in grado di far scomparire i video che inneggiano al Jihad.
Il 19 giugno, a Londra, il 47enne Darren Osborne ha investito con un furgone i fedeli islamici davanti alla moschea di Finsbury Park, provocando un morto e 11 feriti, tre di questi gravi. Fermato dalla polizia avrebbe gridato: «voglio uccidere tutti i musulmani». Poche ore dopo, a Parigi, Il 31enne Adam Lofti Djaziri al volante di una Renault Megàne carica di pistole, bombole a gas e un fucile automatico AK47 si è schiantato contro una camionetta della polizia a meno di 300 metri dal palazzo dell’Eliseo, la sede del Presidente della Repubblica Francese. L’attentatore, già schedato dalle autorità come possibile minaccia, è morto sul colpo, mentre gli otto poliziotti all’interno della camionetta sono illesi.
Questi sono solo gli ultimi due episodi della stagione di attentati che si alimenta sempre più anche a causa dei social network: tweet, post e video che inneggiano al jihad, la guerra santa, sono i canali preferiti dall’Isis. Annullano le distanze e sono usate dai giovani, soprattutto da quelli esclusi dagli aspetti positivi della globalizzazione: disoccupati, emarginati e disillusi. Consapevoli di essere un mezzo di propaganda gli stessi social network si stanno attrezzando per combattere la propaganda jihadista, ma anche quella xenofoba anti-islamica. Youtube ha deciso di contrastare i video inneggianti all’odio e al terrorismo, rispondendo così alle accuse di aver finora ignorato il fenomeno.
Karent Walker, vice presidente della principale piattaforma di pubblicazione e condivisione dei video al mondo, ha pubblicato le quattro mosse per combattere questo genere di contenuti online.
La prima è il potenziamento del filtro che mette in primo piano i contenuti giornalistici sugli attentati e in secondo piano gli appelli religiosi fondamentalisti. Questo significa che i video di propaganda non verranno del tutto cancellati, ma nascosti al grande pubblico.
Questo filtro si appoggerà a un gruppo scelto di segnalatori, i ” trusted flagger”, che finora hanno contribuito a segnalare contenuti pericolosi. A ricevere le notifiche e a elaborarle più velocemente ci saranno ancora più ingegneri informatici che Google intende assumere in tempo breve. Non solo lotta ma anche “contro-propaganda”. Google implementerà il programma “Creators for Change” che punta a reindirizzare i target dell’Isis, i potenziali terroristi con il volto chinato sugli smartphone, bombardandoli di messaggi “positivi”.
Anche Facebook, il 16 giugno aveva lanciato la sua battaglia contro la propaganda terroristica. Marck Zuckerberg ha aperto il blog “Hard questions” dove condivide la sua strategia con i quasi due miliardi di utenti. Sono quattro le domande difficili che si pone Zuckerberg: due concrete : “Quanto dovremmo monitorare e rimuovere i post controversi? E chi deciderà che lo sono? Cosa dovrebbe accadere all’identità online una volta morti? E due più filosofiche: “Come possiamo assicurarci che i social media siano buoni per la democrazia? E Come possiamo usare i dati per il bene comune senza perdere la fiducia delle persone? Le risposte, il social di Mellow Park le aspetta alla mail hardquestions@fb.com. Tutti possono dare una mano perché il sistema non sembra farcela da solo. Facebook risponde così al Guardian che aveva rivelato come il social avesse messo a rischio i moderatori di contenuti fondamentalisti sul social. Un bug di Facebook nel novembre del 2016 avrebbe rivelato i dati dei moderatori, rendendoli obiettivi sensibili per i terroristi. Dal dicembre del 2015 Facebook, Youtube e Twitter hanno firmato una accordo per combattere il terrorismo online. Condividendo le informazioni sui chi pubblica contenuti fondamentalisti, evitando che un contenuto bannato da un social, comparisse in un altro.