«Questo non è calcio, è uno scherzo. Si giochi altrove». Le parole di Enzo Maresca alla fine degli ottavi del mondiale per club tra la sua squadra, il Chelsea, e il Benfica, possono sembra inclementi verso la competizione. Ma non sono irragionevoli, visto che la partita era stata sospesa per oltre due ore per il pericolo tempesta, alterandone l’esito. Ma le condizioni meteo e dei campi non sono gli unici problemi del mondiale: ci sono ombre anche dietro l’organizzazione. L’interesse degli appassionati sembra infatti non essere al livello degli investimenti economici, soprattutto sauditi, alla base della competizione.

Benfica-Chelsea, finita 1 a 4 (ANSA)
Meteo – La partita tra Benfica e Chelsea è durata ben 4 ore e mezza, considerando i tempi supplementari e l’interruzione di due ore. Il Chelsea stava dominando fino all’85 esimo, quando il protocollo sul pericolo fulmini è entrato in vigore: 30 minuti di stop dal momento in cui si registrano lampi o tuoni nel raggio di dieci miglia. Al momento del rientro in campo due ore dopo, l’equilibrio è cambiato e il Benfica è riuscito a pareggiare su rigore, portando la partita ai tempi supplementari, vinti poi dalla squadra inglese che ha segnato 3 gol in dieci minuti. Questa interruzione è solo la più eclatante: altre sei partite sono state fermate per lo stesso motivo. Il protocollo non è invece scattato per altre gare, come Manchester City-Juventus, dove i calciatori sono rimasti in campo sotto il diluvio fino alla fine del primo tempo senza potersi fermare, dato che non c’era il rischio di una tempesta.

Cambio zolle allo stadio di Atlanta (ANSA)
Condizioni sportive – I 15 stadi che ospitano la competizione, in erba sintetica e adatti al football americano, sono stati rimaneggiati per l’occasione con l’impianto di zolle di erba naturale, ma il risultato non è stato dei migliori secondo calciatori e allenatori. Jude Bellingham, stella del Real Madrid, ha detto che il campo di Charlotte, dove ha disputato la partita contro il Pachuca, «trattiene troppo la palla e crea difficoltà anche fisiche». L’allenatore del PSG Luis Enrique, fresco di vittoria in Champions League contro l’Inter, ha invece criticato i campi riadattati dicendo che: «la palla rimbalza come un coniglio». Diversi calciatori hanno poi espresso perplessità riguardo la decisione di giocare le partite in orari proibitivi: più della metà prima delle 17 e addirittura 15 a mezzogiorno, tanto che durante la partita tra Mamelodi e Borussia Dortmund, giocata alle 12 di sabato 21 giugno a Cincinnati, le riserve del Dortmund hanno deciso di lasciare le panchine per ritirarsi negli spogliatoi e seguire la partita dagli schermi al fresco.

Juventus-Manchester City, finita 2 a 5 (ANSA)
Spettatori (in)sofferenti – Cosa che non ha potuto fare il pubblico sugli spalti, che ha dovuto subire l’afa e le interruzioni per il rischio climatico. Un fattore che aiuta a spiegare la scarsa affluenza alle partite della fase a gironi: il 57% dei posti a disposizione (per i maggiori campionati europei è sempre superiore all’80%, con picchi del 93% per la Serie A e 98% per la Premier league inglese). Il dato è migliorato con il passaggio alla fase a eliminazione diretta, dove il blasone delle squadre coinvolte è maggiore, ma i numeri di alcune partite sono disastrosi, come i 3400 spettatori per Mamelodi-Ulsan HD. Per le partite meno attese il costo dei biglietti era stato addirittura ridotto a 5 dollari per evitare risultati ancora peggiori. Per quanto riguarda gli spettatori seduti in poltrona o nei bar, l’emittente inglese DAZN, che si è aggiudicata i diritti televisivi, non rilascia pubblicamente i dati sul numero di spettatori. Per quanto riguarda l’Italia, Mediaset trasmette alcune delle gare e ha riportato 625 mila spettatori per una delle gare di cartello, PSG-Atletico Madrid e un picco di 3 milioni e 200 mila per Manchester City-Juventus, due squadre blasonate di cui una italiana. Risultati però deludenti considerando che le partite di Champions League su Mediaset giocate allo stesso orario si attestano su almeno 5 milioni di spettatori anche per partite meno importanti e che la Coppa Italia, una competizione ritenuta generalmente poco interessante, registra una media superiore ai 3 milioni di spettatori.
Cosa ingolosisce i club – Se i dati sulle condizioni climatiche e sportive e di interesse del pubblico mostrano una situazione non ottimale, le squadre hanno accettato di buon grado di partecipare al nuovo format del mondiale per club anche grazie al ricco montepremi, consistente in un miliardo di dollari. Una somma inferiore a quella della Champions League, quasi 3 miliardi, ma la differenza è che il mondiale si disputa in un mese, mentre la Champions dura tutto l’anno. I soldi sono da ricondurre al fondo di investimento sovrano saudita e alla compagnia petrolifera statale Aramco, che ha una partnership con la Fifa. Il montepremi è ripartito sulla base dei risultati sportivi e la qualificazione alle fasi successive del torneo, ma anche per la sola partecipazione. Si può immaginare la gioia degli australiani dell’Auckland City, che pur essendo stati eliminati ai gironi segnando solo un gol e subendone 17, hanno guadagnato circa 4,2 milioni, pari a circa otto volte il fatturato annuale.

Fan dell’Al Hilal in tribuna a Washington (ANSA)
Gli interessi sauditi – La partnership tra governo saudita e Fifa, sancita anche dall’amicizia tra il principe saudita Mohammad bin Salman e il Presidente della Fifa Gianni Infantino presenta vari problemi di trasparenza. L’operazione, volta ad accreditare il governo saudita a livello internazionale tramite lo sport, nasconde infatti innanzitutto un conflitto di interesse, dato che una delle squadre partecipanti, l’Al Hilal, allenata da poco da Simone Inzaghi, è anch’essa di proprietà statale saudita ed è riuscita a superare un girone difficile con Real Madrid e Salisburgo. L’opacità delle manovre saudite riguarda anche i diritti televisivi. Nessuna compagnia era disposta a versare la cifra richiesta dalla Fifa, che si aspettava un esborso multimiliardario per la cessione dei diritti televisivi. Solo DAZN si è presentata a fine 2024 con un’offerta da un miliardo di dollari per avere l’esclusiva. La mossa è sembrata insensata, dato che la compagnia aveva subito perdite per quasi un miliardo e mezzo nell’anno precedente e le prospettive non mostravano un ritorno economico adeguato dalla competizione. Solo due mesi dopo però il fondo sovrano saudita ha comprato un piccolo pacchetto di azioni della società di streaming sportibvi per un totale di un miliardo, andando oltre il reale valore della partecipazione e avvalorando i sospetti che dietro l’intera operazione mondiale-per-club ci sia stata fin dall’inizio la petromonarchia saudita