«Vincere l’Europeo di basket è stata un’emozione indescrivibile e il coronamento di un bellissimo percorso». Ci sono momenti impossibili da dimenticare e per Alex Cesca, capitano della Nazionale italiana con sindrome di down, la finale di Padova è sicuramente uno di questi. Si percepisce dal sorriso che appare sul suo volto mentre ripercorre i momenti chiave della vittoria contro la Finlandia per 32-18. Non è il primo successo per gli azzurri, che dal 2017 hanno conquistato tre titoli Mondiali e altri due Europei, ma per Cesca le emozioni sono state le stesse della prima volta.
Un gruppo unito – Lavoro, disciplina e condivisione sono alla base dello sport. Non ci sono scorciatoie per ottenere dei risultati. La Nazionale italiana di basket può contare su una squadra unita e sempre pronta ad aiutarsi: «Ci alleniamo tanto e ci sosteniamo nei momenti più complicati», continua Cesca, «abbiamo sicuramente del talento, ma per vincere questo non basta. Serve un gruppo unito e noi lo siamo anche fuori dal campo. Lo sport mi ha dato l’opportunità di conoscere molte persone, con il tempo diventate amiche. Loro mi spingono a dare sempre il massimo e non mi fanno sentire mai solo». Parole condivise anche da Andrea Durante, che con Cresca ha vissuto il sogno europeo: «Sono in Nazionale da poco, ma posso dire di aver trovato un bellissimo ambiente. Pratico sport da quando avevo sei anni e lo considero indispensabile nella mia vita: mi ha aiutato a crescere e ad affrontare meglio le mie giornate».
L’importanza dello sport – «La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme». Questo è il comma inserito all’articolo 33 della Costituzione italiana. 75 anni di attesa per un provvedimento che testimonia come lo sport sia utile anche nella vita quotidiana: «Queste esperienze sono importantissime, soprattutto per i ragazzi con sindrome di down», afferma Giuliano Bufacchi, allenatore della Nazionale italiana di basket, «io li tratto da atleti, non ho un approccio diverso per via della loro disabilità, ma parlando con i parenti ho capito quanto l’attività sportiva li aiuti sotto tutti i punti di vista. C’era un giocatore che non potevo chiamare in Nazionale perché non era autonomo nel lavarsi, cambiarsi e prepararsi. Tutte cose che chiedo a chi convoco. Questo per lui è stato uno stimolo e in 3 mesi ha imparato a fare tutto. La madre mi ha detto che prima non voleva neanche provarci, quindi lo sport lo ha aiutato nella sua autonomia». Il ruolo dell’allenatore è fondamentale all’interno di una squadra: è un punto di riferimento, un modello e ha il compito di trasmettere valori come il rispetto e la disciplina. A volte però non sono soltanto i ragazzi a crescere, ma anche il tecnico può sentirsi arricchito da un’esperienza. «Questa avventura ha sicuramente inciso sulla mia vita: prima vivevo male i problemi e mi sembravano insuperabili. Adesso invece sono molto più tranquillo e arrivo prima alla soluzione».
Una categoria apposita – Dal 2017 esiste una categoria apposita per i giocatori con sindrome di down. Secondo Bufacchi questo ha permesso a molti ragazzi di entrare a far parte di una squadra e vivere in un ambiente più adatto a loro: «Prima dovevano competere con i normodotati, ma per i disabili intellettivi questo è impossibile, non potevano stare in campo. Fortunatamente le cose sono cambiate. Nel 2017 eravamo in sei contati, adesso ho l’imbarazzo della scelta. Anche per chi non arriverà mai in Nazionale è stato un bene: il numero delle squadre è aumentato e si possono trovare in tutto il Paese, da nord a sud». L’introduzione della categoria li ha aiutati sia dal punto di vista sportivo che emotivo. Finalmente possono sentirsi importanti per la squadra e vedere i frutti del loro lavoro. «Le persone con disabilità acquisiscono il benessere attraverso la gratificazione», spiega la psicologa e psichiatra Serenella Salomoni, «lo sport in questo li aiuta molto: imparano a rialzarsi dopo una delusione e a sostenersi l’uno con l’altro. Non si sentono più esclusi, come purtroppo spesso capita, ma trattati come i normodotati. Provano tantissime emozioni e percepiscono la vita dentro di loro. L’esercizio fisico poi mette in atto meccanismi ormonali che hanno dei risvolti positivi. In poche parole, lo sport per loro è una salvezza».