All’ombra dei tacchetti patinati e dei riflettori in Italia c’è un’altra Serie A che gioca, diverte e dà spettacolo. È il mondo piccolo del calcio femminile, un movimento che nella patria del pallone stenta a crescere, tra pregiudizi e tabù, in controtendenza con il resto del mondo, Stati Uniti in testa. I numeri sono impietosi: meno di 20mila tesserate e una schiera di campionesse relegate allo stato di dilettanti. Il problema è prima di tutto culturale. Se in Europa per una donna giocare a calcio può diventare un lavoro, in Italia è un hobby. “Lo stipendio qui non ti permette di avere un futuro”, spiega Raffaella Manieri, difensore del Brescia dopo tre stagioni al Bayern Monaco e due scudetti vinti. “In Germania il calcio femminile è quasi pari a quello maschile per pubblico e importanza”, racconta. Altri mondi. Paris Saint Germain, Barcellona, Chelsea: tutti i più grandi club europei vantano anche una squadra femminile e tra i due settori ci sono interazioni, interesse e stima reciproca. La differenza? Il professionismo.
“Nel calcio femminile, l’Italia è il brutto anatroccolo: dobbiamo scontrarci con le 700mila tesserate della Germania, le 350mila dell’Inghilterra, le 300mila della Francia e le 250mila della Spagna, ma stiamo crescendo”, commenta amaro il ct azzurro Antonio Cabrini. “La mentalità italiana è molto maschilista e questo ne preclude lo sviluppo”, spiega. Lavorare sul piano sociale e culturale è la ricetta del presidente della Figc Carlo Tavecchio, che auspica in breve tempo il raddoppio delle tesserate mentre dagli Stati Uniti all’America del Sud, dall’Europa del Nord al Giappone negli ultimi dieci anni milioni di praticanti si sono rovesciate sui campi verdi. C’è chi l’ha definita la più grande rivoluzione sportiva dalla fine dell’Ottocento e chi invece continua a ignorare numeri e potenzialità ma l’esplosione del calcio femminile, tuttora in corso, è una realtà. Lo ha capito anche la Figc che da qualche anno sta provando a invertire la rotta.
Per la prima volta, da questa stagione, è scattato l’obbligo per le società di serie A e B maschili di avere una squadra femminile under 12 con almeno 20 tesserate. La Fiorentina Women’s Fc, in serie A, è stata la prima, la Lazio Women, in serie B, la seconda. Il piano della Figc è partito un anno fa. “Abbiamo istituito tre nuove Nazionali: l’under 23, l’under 16 e la squadra di calcio a 5”, spiega il vicedirettore Francesca Sanzone.
Un altro segnale importante arriva poi dalla scelta di affidare la co-conduzione degli azzurrini a Patrizia Panico, leggenda del calcio femminile italiano che dopo 10 scudetti vinti, 14 titoli di capocannoniere e più di 700 gol in carriera, quest’anno ha rotto un altro tabù diventando la prima donna nello staff tecnico di una Nazionale di calcio maschile. L’ex numero nove, dopo l’addio al campo, ritrova ora l’Italia in panchina al fianco di mister Daniele Zoratto con i ragazzi dell’Under 16. “Le donne sono un valore aggiunto”, dice. Anche in Italia, dove lei ha sempre scelto di restare, rifiutando offerte importanti da Germania, Svezia e Danimarca, le élite del calcio femminile. “È facile andare all’estero in una squadra stellare e vincere la Champions, però io sono dell’idea che i talenti italiani non debbano espatriare, ma lavorare per trasformare il calcio italiano in un polo attrattivo per il resto del mondo”, dice. E rilancia: “Sarebbe bello se il mondo del calcio desse spazio anche ad altre ex calciatrici. A 30 o 35 anni smettono di giocare dopo aver dato tanto alla Nazionale, ma poi vengono dimenticate”.
Tra i nomi di punta del panorama italiano c’è Melania Gabbiadini, 33 anni, attaccante del Verona e dell’Italia, sorella maggiore del centravanti del Napoli. Una storia al contrario quella dei Gabbiadini capace, per una volta, di ribaltare il pregiudizio. “Devo tutto a mia sorella”, ha detto Manolo. “Mi ha insegnato tutto, soprattutto ad essere umile. Il calcio maschile ha tante cose da imparare da quello femminile”. E poi l’aneddoto. “Un giorno ero allo stadio, me ne stavo seduto in tribuna come tutti i sabati con i miei genitori per vedere giocare mia sorella”, racconta. “A un certo punto l’ho vista avvicinarsi alla porta palla al piede. Ha tirato una bomba micidiale. Il pallone si è andato a schiantare sulla traversa e, per il colpo, si è bucato. Chissà, forse non sarà stato un gran pallone ma ricordo perfettamente quello che ho pensato in quel momento: ‘Mia sorella è veramente forte’”.
Elisabetta Invernizzi
@bettainvernizzi